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MICROCREDITO PER CHI NON HA NIENTE

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A chi può essere utile il microcredito? A piccole imprese, artigiani e attività commerciali strozzati dalla crisi? Anche. Eppure secondo Grameen Italia che ha organizzato una giornata di studi all’Università di Bologna possono essere coinvolte altre fasce sociali: giovani, migranti e detenuti.

 

“La percentuale di recidiva tra i detenuti in Italia arriva al 70 per cento. Cala al 10-12 per cento tra i detenuti che lavorano e apprendono un mestiere. Crolla all’un per cento tra i detenuti in misura alternativa accompagnata da reinserimento lavorativo. Cosa significa? Che i detenuti devono lavorare, cosa peraltro stabilita anche dalla legge – spiega la ricercatrice Giorgia Bonaga”.

 

A questi si aggiungono i migranti che non hanno pochissimi rapporti con le banche nonostante abbiano la necessità di gestire i soldi e inviarli alla propria terra d’origine. E poi ci sono i giovani disoccupati o i neet mentre anche per i pazienti della salute mentale ci sono esperimenti come a Carpi, in provincia di Modena.

“Non possiamo non valorizzare il microcredito, con il 20 per cento della popolazione che possiede l’80 per cento della ricchezza – commenta Luisa Urbani, vice presidente della Fondazione Grameen Italia – Non possiamo fare altro che instaurare relazioni, diventare altruisti e cominciare a fare credito ai non bancabili, sebbene possa sembrare un paradosso. Nelle iniziative di Grameen il tasso di restituzione è al 99 per cento. Cosa serve per partire? Un gruppo di 5 persone basato sulla fiducia”. Ripartire dalla fiducia iniziando a dare i soldi e una possibilità a chi non ne ha.

 

 

 

 

Robots quotidiani

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Damon Albarn, le sue storie, la sua vita, e quella del mondo intorno, dentro le note di un disco.
Everyday Robots” è l’esordio solista del leader dei Blur e dei Gorillaz, ed è senza dubbio un album affascinante e dalle pieghe inaspettate, che si lascia scoprire dopo ogni ascolto.
I robot di oggi siamo noi, coi  nostri cellulari in mano, fermi come pietre.
Robot della modernità che guidano automobili, una accanto all’altra, a vivere ed invecchiare, finchè non si preme il “restart”.
E’ proprio il brano che dà il titolo al disco che dà la percezione della frenesia moderna e della vuota solitudine che spesso l’accompagna, adagiata su sonorità ipnotiche e minimali che arrivano dentro la vita di Albarn.
If you’re lonely, press play”, come recita il singolo lanciato in rete qualche mese prima dell’uscita dell’album.
Atmosfere malinconiche da cui prendono vita i ricordi personali, che si trasformano in disegni accurati della società di oggi.
Le difficoltà di comunicazione di Hostiles, i ricordi di bambino di The History Of Cheating Art, e la dipendenza dalle droghe, accennata in You and me fino all’incontro con l’Africa, che Albarn ha visitato più volte e da cui è nato il progetto Mali Music, e che ha evidentemente tracciato un solco profondo nella sua vita e, di riflesso,  nella sua poetica.
Un’esigenza che si manifesta in Mr Tembo e le sue sonorità dal sapore etnico, sulle tracce dell’elefantino che Albarn ha conosciuto nel paese africano,
Ascoltando “Everyday Robots” si ha l’impressione globale di scavare dentro la personalità e la vita dell’artista, cogliendo i frutti maturi della sua ispirazione, ma anche quella di conoscere un po’ meglio il mondo che ci circonda, attraverso il filtro che Albarn ci propone, mettendoci a disposizione un binocolo e un punto di osservazione privilegiato e suggestivo.

Letture Casuali

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il coraggio è una cosaIl volo ha due ore di ritardo. Io sto lì che cerco di tenere a bada i bambini che con urla e strepiti (perché sì sono un po’ vivaci) manifestano la gioia di partire. Dopo un po’ mi lascio cadere accanto ad un distributore di bevande calde nei pressi del gate per Palermo e l’occhio mi cade su un settimanale incustodito. Con aria furtiva me ne impossesso. Non lo leggo quasi mai Panorama, ma un titolo in copertina mi incuriosisce: “Danilo dei miracoli”. Supero le innumerevoli detestabili pagine pubblicitarie e vado dritto a quell’articolo.

E’ così che conosco Danilo. Ed è subito amore. Certo è una conoscenza virtuale che avviene tramite il bellissimo articolo di Federico Corona. Ma a me basta così.
Mi basta sapere che lui c’è, che posso leggere i suoi libri e vedere il suo spettacolo. Mi basta sapere che fa il giornalista sportivo, che è molto ironico e che non sta lì ad auto commiserarsi. Mi basta sapere che c’è questo articolo che mi mette di buon umore tutte le volte che lo leggo.

Per questo mi sono messo lì accanto ai miei figli e ho letto loro questo articolo. Ho così placato la loro smania di movimento e li ho incuriositi. Hanno iniziato a farmi domande: “Papà come ha fatto a scrivere un libro, Danilo, se non riesce a scrivere e non sa parlare? E a recitare?”

Ho cercato di spiegare loro che con la volontà e il coraggio davvero si può fare molto. Che anche se Danilo sono 29 anni che non parla e che non muove il corpo, se non gli occhi, è riuscito a fare molto di più di quanto la medicina gli avesse prospettato. Che esiste un linguaggio del corpo e un linguaggio che avviene attraverso gli sguardi, quelli con Maria Stella, la sua amica e insegnante di sostegno.

Li ho convinti senza neanche troppi giri di parole. Perché quando si parla ai bambini e si usano parole semplici per spiegare concetti un po’ contorti, capiscono meglio di quanto farebbe un adulto. L’ho fatto perché vorrei vederli diventare degli adulti migliori.

Danilo ha scritto un libro: Il coraggio è una cosa.

E’ possibile prenotarlo a questo link o sul sito di Amazon

I BAMBOCCIONI NON ESISTONO

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Quante etichette ha sopportato la generazione X? “Bamboccioni” e “Choosy” quelli più famigerati. Eppure i dati dicono altro e smentiscono questa natura passiva dei 30enni. Se dal Sud si alzano i tassi di emigrazione per trovare un progetto di vita, ci sono tanti under 35 che mettono in campo idee e saperi. Oggi Unioncamere informa che “tra il 2012 e il 2013 sono infatti quasi 71 mila in più le imprese guidate da giovani under 35, con una crescita pari al 10,48%”. In queste cifre gioca il suo ruolo anche il non profit e la cooperazione sociale. La presenza dei giovani è in crescita sia con le coop sociali sul fronte della gestione di terreni, aziende e beni confiscati alle mafie sia nei tanti progetti di start-up. Uno di questi è quello promosso dalla coop sociale Itaca di Pordenone: il progetto Fab. Lo scorso dicembre dal percorso formativo iniziato nel 2012 è nato “Green Bin”. I “fabers” di questa impresa sono Letisia Barbuio e Sarah Zuccarello che hanno deciso di costituire una nuova Cooperativa sociale, denominata appunto “Green Bin”, formata da quattro giovani con tanta voglia di fare, che tra gli obiettivi comuni hanno buonsenso ed eco sostenibilità. Dalle esperienze nate in questo progetto si evince la volontà di avvicinarsi a un modello economico nuovo, l’impresa si inserisce in un contesto di comunità e dove la ricchezza non è solo data dai soldi. Non solo money, più responsabilità. Lo chiede la generazione che paga la crisi e si rimbocca le maniche.

Musica e baratto, si può fare

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Nel 2014 può ancora funzionare il baratto?
E il baratto si può applicare alla musica?
Chiedetelo ai The Gentlemen’s Agreement, band partenopea che per realizzare il nuovo disco  “Apocalypse Town” ha avuto la possibilità di rinnovare l’antica arte dello scambio per costruire qualcosa di molto particolare.
Prima hanno  materialmente messo su uno studio di registrazione in Puglia, (il SudEstudio di Campi – Lecce), in cambio di un mese di registrazione.
Poi hanno ottenuto un appartamento in un Lanificio del Cinquecento a Napoli dove poter provare e vivere, in cambio della gestione di un club, il Lanificio25.
Ed è così che hanno dato vita ad un lavoro che va oltre la semplice registrazione di un disco, con uno slancio che supera il crowdfounding, protagonista rivoluzionario dei meccanismi legati alla produzione discografica di questi tempi moderni.
Tempi moderni e apocalittici, come la città raccontata dai Gentlemen’s Agreement, che diventa un esperimento nella forma e nei contenuti: dieci canzoni che compongono la storia dell’operaio senza nome, che schiacciato dalla catena di montaggio e della fabbrica che lo opprime, decide di scappare. Ma sfilandosi dall’ingranaggio, fa crollare il sistema e va alla ricerca dell’armonia della natura.
Non più ritmi frenetici e grigio tutto intorno, ma equilibrio con il mondo e sintonia con la terra; non più autostrade ma campi di fiori.
Un concept che porta l’ascoltatore a confrontarsi con il complesso rapporto tra uomo, natura e modernità; un disco teatrale e totale, dove la musica diventa un impasto omogeneo che mette insieme tutti i suoni, le sensazioni, i luoghi e i rumori di questo viaggio.
Perchè dentro ci sono anche gli strumenti da lavoro, gli oggetti quotidiani e fantasiosi ibridi autocostruiti, che rendono l’opera incredibilmente coerente e assolutamente godibile dall’inizio alla fine.
La produzione è affidata alla Subcava Sonora, etichetta molto attiva sul piano delle alternative al  diritto d’autore, che ha coraggiosamente deciso di rinunciare alla Siae e che diffonde infatti tutte le proprie produzioni in Creative Commons.
Se la modernità ha imposto le sue regole, i  Gentlemen’s Agreement affermano la loro versione dei fatti: che se un altro mondo non è possibile, mettiamoci in gioco per renderlo un pochino migliore di come appare.

La verità vi prego sull’amore… tra padre e figli

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“Perché ridi sempre?” chiede Daria. Tito risponde sorridendo: “Sono fatto così”.
Non poteva rispondere in modo più appropriato. Era l’unica vera risposta che mi aspettavo.
Perché Tito è così: sorridente, curioso. In una sola parola: sereno.

La storia di Tito è quella contenuta nel libro ‘La caduta’ raccontata dal papà Diogo, brasiliano trapiantato a Venezia. Una storia che racconta l’amore tra un padre un figlio, ma soprattutto di come si costruisce il rapporto, la relazione che si instaura sin dai primi vagiti. E non è per dire ma quando ho visto Diogo Mainardi e Tito parlare con Daria Bignardi a Le Invasioni Barbariche ormai qualche sera fa mi sono sentito un padre a metà: io, che di figli ne ho due, davanti a Tito e Diogo mi sono sentito piccolo piccolo. Quasi non all’altezza del mio ruolo.
Mi ha ammaliato la serenità di Diogo, la sua naturalezza nel rapportarsi con Tito, la sua pacca sulla spalla, la sua ironia. Come Diogo guardava suo figlio, la sua dichiarazione di amore (che non era per il problema del figlio, ma era per lui, solo per lui) mi ha colpito. Io ero lì davanti allo schermo e ne percepivo la sostanza: come era possibile non coglierne un insegnamento? Ma perché questo senso di inadeguatezza? Sarei stato forse un padre diverso per Tito? Non lo so.
Ma si parla di diversità. Che tipo di diversità?
Per me è un dettaglio: Tito è nato tredici anni fa con una paralisi cerebrale in un ospedale di Venezia a causa dell’errore di un medico.
E così, dopo la risposta di Tito a Daria, sono andato a dormire, sereno, più sereno anch’io.
“Sono fatto così” e ‘La caduta’ è per ora il mio mantra…
Ora tutte le volte che li guardo, i miei figli, penso a quella pacca sulla spalla e a quanto la paura della diversità, qualunque essa sia, debba essere colmata con l’impegno e la vicinanza.
Questo è quello che penso.