Bologna chiama Napoli: popoli e piazze contro la corruzione

di Ivano Maiorella

(di I.Maiorella e G. Manzo). Popoli e piazze, uniti contro la corruzione: a Bologna don Luigi Ciotti, a Napoli papa Francesco. Piazze distanti parecchi chilometri, unite dall’emergenza e dal popolo. La mafia sta dappertutto, cambia la facciata non la sostanza: camorra, n’drangheta, mafia capitale o in salsa emiliana o lombarda. La puzza non risparmia nessuno. E nessuno si senta immune da questa “putrefazione”. Attacca così don Luigi in piazza VIII agosto a Bologna, di fronte a tante facce di ragazzi e ragazze venuti qui da tutta Italia. “Tocca a noi , alla societa’ civile fare uno scatto tutti insieme contro le mafie – prosegue –  C’e’ bisogno di un risveglio delle coscienze. Dobbiamo fare di piu’, oggi tanta gente a Bologna in piazza e tanti giovani con le facce pulite. Bene, ma dobbiamo sporcarci di piu’ le mani per scacciarle definitivamente le mafie, ve lo chiedo per piacere”. Un’implorazione quella di don Ciotti, una scintilla laica che viene da un prete. Segno dei tempi, la crisi delle coscienze passa anche da qui, l’etica laica abortisce se non diventa responsabilità pubblica, oltre che personale.

“Bene ha fatto papa Francesco a ricordare che siamo sull’orlo di una nuova guerra – dice ancora Ciotti –  Le mafie vivono in mezzo a noi e vorrei dire a chi si preoccupa di cacciare i migranti che bisognerebbe cacciare i mafiosi. Al mondo della politica diciamo di fare presto, di approvare senza toccare neppure una virgola la legge contro i delitti contro l’ambiente. La tossicita’ della terra dei fuochi continua ad uccidere cosi come l’amianto”.

Eccolo l’incontro tra la piazza di Bologna e quella di Napoli, uniti contro tutte le corruzioni: le mafie dei rifiuti tossici e quella della mondezza, quella degli appalti e quella in doppiopetto.

“La corruzione puzza, la società corrotta puzza e un cristiano che fa entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano. La buona politica è una delle espressioni più alte della carità, a cominciare dalle realtà locali”. Questo ha gridato Bergoglio davanti al popolo di Scampia, mettendo al centro il lavoro e puntando il dito contro lo sfruttamento dei nostri giorni: “11 ore al giorno, 500 euro al mese e senza contributi: questa è schiavitù”. Non è solo un monito. Francesco l’argentino usa la sua naturale fisicità per arrivare a quella platea popolare che chiede diritti e giustizia sociale ma non ha rappresentanza. In una Napoli irreale, blindata e deserta camminano fedeli delle parrocchie, famiglie con bambini, giovani, lavoratori, laici e non credenti. Insieme al grande evento si muove la sofferenza sociale della capitale del Sud, tra le bandierine vendute a 1 euro e i foulard a 5 dagli ambulanti improvvisati. Dall’alba al tramonto, da Pompei fino al Lungomare, Bergoglio trova una città “pulita” ma consapevole della vetrina offerta alle Pontefice e alle tv. Gli stessi media che non sono potuti entrare nel carcere di Poggioreale, il penitenziario più affollato d’Italia, dove per la prima volta un Papa pranza insieme a un gruppo di detenuti. E fuori una folla festante che vuole solo un cenno o un saluto. E poi, sfumate dal “mezzo miracolo” dello scioglimento del sangue di San Gennaro, arrivano ancora parole dure, stavolta rivolte proprio al Vescovo Crescenzio Sepe e ai prelati della Diocesi napoletana: “Quanti scandali nella Chiesa e quanta mancanza di libertà per i soldi!”.
Va via quasi al tramonto Bergoglio, lasciandosi alle spalle il mare del golfo e migliaia di persone che tornano alle proprie case, ma soprattutto tornano nella quotidiana assenza di rappresentanza: Napoli e il resto del Paese cercano una speranza, una guida collettiva e un’etica. No, non è in queste istituzioni e in questa politica che si trovano risposte se prima non si combatte la corruzione e la sua puzza.