Cinque tesi per un racconto sociale dell’Expo

di Ivano Maiorella

«Mi auguro che sia l’ultima grande opera fatta con grandi deroghe»: così il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, ha parlato dell’Expo che si è inaugurata a Milano. Eppure non è un terremoto, non un Campionato del mondo di calcio e neppure un’Olimpiade. Non è neanche un summit tipo Kyoto. Perché l’Expo di Milano divide?
Lascia esterefatti il contrasto tra le bocche da sfamare e il luccichio di questa grande opera, dedicata alla povertà e al cibo. Si chiama Expo, che male c’è a mostrarsi? Eppure la bellezza dei padiglioni nazionali dovrebbe essere pari al grado di efficienza con il quale si affronta la sfida principale: sfamare il mondo. E invece l’impressione è che si tratta di una gara di scintillìo fine a se stessa.  Abilità estetica e muscolarità finanziaria nel reperire più risorse possibili, tra stato e mercato. Forse per questo uno degli stand giudicati migliori è quello della Svizzera.
Ci sarà il tempo giusto per capire se in Expo c’è verità, coerenza, serietà, etica, legalità. Il tema è importante e non siamo “gufi”. Ai pregiudizi preferiamo zero etichette, no logo, conteranno i fatti. Che cosa dicono sinora i fatti? Si vede tanto e si comprende poco. Gli interessi in ballo sono enormi, l’agricoltura industriale chiede strada e quella cosiddetta sostenibile rimane in ombra. Abbiamo selezionato cinque temi attraverso i quali incominciare a leggere l’Expo:
1. una scommessa sul futuro: sfamare il mondo. Se gli organizzatori fossero stati meno ambiziosi nei propositi, non sarebbe morto nessuno. Ma oggi si fa così, se la spari grossa fai bella figura e domani si vedrà. Quello che una volta si chiamava realismo è diventato pessimismo e guai a noi se ci iscriviamo a quel partito.
2. “consegna lavori”: ci si affida alle cronache di queste ore e si legge che visitatori e giornalisti si sono fatti strada tra i calcinacci e gli stand sbarrati (anche quello dell’Unione Europea). La stampa estera non sarà tenera, c’è da giurarci. Ma anche in altri eventi internazionali è spesso così.
3. corruzione. Una corsa all’italiana, viziata “da un deficit di democrazia e da un grosso conflitto di interesse”: “nessun organo elettivo e di rappresentanza democratica ha mai votato di fare Expo 2015 a Milano; la scelta dell’area di Rho-Pero per svolgervi la rassegna è un grosso regalo a Fiera”, si legge nel sito No Expo. Siamo d’accordo con Cantone.
4. lavoro,  lo showdown dei giovani scansafatiche che hanno rinunciato al posto, come hanno riportato alcuni giornali, era fasullo. Si è venuto a sapere che molti di loro hanno rinunciato a 500 euro lordi al mese, insufficienti persino a pagare le spese. Ma di lavoro si dovrà parlare ancora: quanti posti creerà l’Expo?
5. volontariato e terzo settore. Ci sono i volontari scesi nelle strade per aggiustare le devastazioni dei black bloc, post 1 maggio. Gente di tutte le età e ceto sociale, a favore o critica con Expo. Una grande prova di civismo, uno sbarramento antiviolenza. Ci sono i volontari reclutati dalle associazioni del territorio attraverso la campagna nazionale dei Centri di Servizio del Volontariato. C’è poi l’area della Cascina Triulza, con un intero Padiglione dedicato alle realtà del terzo settore. Una scommessa complessa che nei prossimi giorni andrà vissuta, conosciuta e raccontata. Con libertà di giudizio e fuori dalle istituzioni, come è proprio di questo complesso mondo. Anche per questo comunicazione e testate sociali saranno da tenere d’occhio.