Mettersi nei panni degli altri

di Ivano Maiorella

Mettersi nei panni degli altri: il primo appuntamento di Fqts a Caserta è partito da questo invito, martedi 10 novembre. Utile al programma didattico e formativo ma anche un comportamento di vita, da sperimentare sempre. Anche di fronte a quanto sarebbe avvenuto a Parigi tre giorni dopo, venerdi 13 novembre. Cercheremo di spiegare perché ci è venuto naturale questo accostamento in giornate nelle quali la confusione e lo smarrimento rischiano di rendere fasulla ogni analisi. Ci proviamo lo stesso e andiamo avanti con ordine.

Fqts di Caserta dicevamo, Formazione Quadri del Terzo Settore del Sud, al via col suo secondo ciclo triennale aperto a Caserta dal 10 al 15 novembre. Vogliamo partire da qui. Un appuntamento intenso, volto a segnare un discrimine: non un ciclo di convegni ma un corso intensivo di formazione. Un investimento sul capitale umano del Sud, presupposto di ogni sviluppo futuro, per provare a guardare le cose da angolazioni diverse, per cercare nuove strade e determinare cambiamenti.
Per acquisire una mentalità aperta bisogna uscire fuori dalle prigioni delle abitudini, è stato detto in apertura. Il terzo settore e i suoi quadri possono mettersi in gioco, essere attori di cambiamento. Sono valore sociale e possiedono una “visione”. Questo significa essere davvero terzo settore.

Andrea Volterrani è partito dal valore sociale del terzo settore. Che cos’è? “C’è stata un’epoca, quella degli anni ’90, nella quale in primo piano c’era il tema del valore economico del terzo settore. Da allora si è creata una certa confusione tra valore sociale e valutazione dell’impatto sociale”.

“Il terzo settore ha tante componenti – ha proseguito Volterrani – ciò che ci contraddistingue è il porgersi la domanda: esistiamo in funzione delle attività e dei servizi che eroghiamo? E se smettessimo le attività, continueremmo ad avere un ruolo per il solo fatto di esistere? Quello che rimane al netto delle attività è il valore sociale, ovvero partecipazione, democrazia, condividere una visione con altri”.

Quindi il terzo settore è portatore di democrazia, partecipazione, coesione sociale in quanto possiede una “visione”. “Avere visioni vuol dire darsi un orizzonte – ha detto Emilio Vergani, autore di “Costruire visioni”, Exorma editore, Roma 2012 – Vuol dire abbracciare un altro paradigma che si concentra sull’agire, e non solo sul fare, sul lavorare a progetti o erogare servizi, ovvero su un orizzonte più ampio che è la visione. La visione non è un punto di vista di uno solo ma un orizzonte ampio con tanti e infiniti punti di vista. Non è neanche l’utopia, lo sguardo ossessivo di qualcuno, di un leader”. La peggiore nemica della “visione” è l’ideologia. Proviamoci, allora, a metterci nei panni degli altri per provare a comprendere quello che sta gettando l’Europa nello sgomento. Arrivano come pietre le notizie da Parigi. Mettersi nei panni dell’altro. Mettersi nei panni dei cittadini parigini in quelle ore di terrore, in quelli delle vittime, dei familiari, di chi è scampato, di chi ha ucciso a freddo, di chi medita di continuarlo a fare. Di chi pensa: che succederà domani? Di chi si pone interrogativi, di chi cerca di comprendere l’altro. E se provi, per un momento, a metterti nei panni dei terroristi dell’Is ti accorgi del buoi fitto dello spirito e della ragione.  Il fanatismo religioso e quello ideologico sopprimono ogni visione diversa dalla propria, non c’è domani, le altre persone e i loro panni non esistono.

Aldo Capitini era un “visionario”: “La bellezza della nonviolenza è che essa preferisce non di distruggere gli avversari ma di lottare con loro in modo nobile e dignitoso, con il metodo non violento, che fa bene, prima o poi, a chi lo applica e a chi loriceve. In fondo è più coraggioso volere vivi e ragionanti gli avversari, che farli a pezzi” (Azione nonviolenta, Perugia, 1968).