Se questa è …”una donna”

di Admin GRS

violenza donne

A quindici anni dall’introduzione della giornata contro la violenza alle donne, si registrano, purtroppo, continui atti di assurda violenza, tanto da suggerire il terribile appellativo di “nuovi campi di femmicidio”.

Le immagini parlano da sole e, in questi ultimi giorni, purtroppo, si sovrappongono le une alle altre, con una velocità spaventosa: le immagini sono sempre le stesse e lasciano chiaramente intravvedere  il segno di una violenza inaudita su persone,  donne, mamme, figlie, amiche, nonne,  adolescenti….di qualsiasi ceto sociale e di tutte le età, un esercito di bambine, ragazze, donne, anziane, cui si impone una sola legge: quella della schiavitù da parte del “carnefice” di turno, che ne diventa padrone assoluto fino a privarle della loro stessa vita.

Infatti, non ci sono appellativi “umani” per chi si macchia di tale crimine…eppure la comunicazione c’è, l’informazione c’è, le immagini, purtroppo,  parlano da sole, i centri antiviolenza aumentano continuamente, ma, a quanto pare, tutto ciò non basta a mettere in guardia le donne, a confidarsi, a denunciare casi di violenza, anche psicologica,  ad evitare quel drammatico “ultimo” confronto.

E mi vengono, inevitabilmente, alla mente, i titoli di due libri, entrambe autobiografici,  il primo, “Se questo è un uomo”, scritto da Primo Levi,   è il romanzo in cui l’autore racconta la sua esperienza nei campi di concentramento, durante la seconda guerra mondiale dove descrive una realtà incredibilmente alienante, in cui gli uomini e le donne hanno subito ogni tipo di sopruso. Torturati, costretti a soffrire ogni tipo di dolore, da quello fisico a quello mentale e morale, sempre più massacrante,  persone che si trascinano nel campo di concentramento fino a non provare più emozioni.

L’altro, di Sibilla Aleramo, “Una donna”, scritto nei primi del novecento, racconta della propria vita, dalla prima infanzia,  della lotta per la libertà e alla non sottomissione maritale, sino al doloroso abbandono del figlio. Trova il coraggio di raccontare della propria difficile condizione di donna e trova il coraggio di denunciarne gli aspetti più scabrosi e violenti,  in cui trapela  tutta l’amarezza e l’infelicità del prezzo pagato dalla scrittrice per vivere una vita libera dai ruoli femminili tradizionali imposti dalla società, cioè quello di moglie e madre.

Amare e tristi le conclusioni: Primo Levi lancia una sorta di messaggio-profezia, molto simile  all’indifferenza dei giorni d’oggi “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane che muore per un sì o per un no.”

Sibilla Aleramo, invece,  si dedica all’ impegno sociale, all’ insegnamento e, soprattutto, porta a termine il progetto della sua vita, quello di scrivere “ il libro per il figlio”, come testamento spirituale e morale per lui quando sarebbe stato grande, perché gli uomini, prima di essere mariti, compagni, amici, sono “figli”, nati da una madre che ha il dovere di insegnare loro il rispetto per sé stessi e per gli altri.

Da donna,  da figlia, da moglie, e da madre, mi piace concludere   con le parole con cui Sibilla Aleramo chiude il libro,  rivolte al figlio, e che condivido pienamente: “Ed è per questo che scrissi. Le mie parole lo raggiungeranno”. “E’ quindi  necessario che la madre non sopprima in sè la donna, perchè solo così può trasmettere ai figli un messaggio di dignità”.

Da 15 anni il 25 novembre, istituito dalle Nazioni Unite come giornata contro la violenza sulle donne, serve a ricordarci questo dramma, che prende corpo con dati sempre agghiaccianti: 179 sono le vittime uccise in un anno solo (2013) nel nostro paese; una violenza, fisica e sessuale, che colpisce un terzo delle donne, spesso in casa (nel 30% dei casi),  lontano da occhi indiscreti.