C’è un Paese che in nome della vita è capace di compiere le peggiori azioni. Il caso del cimitero dei feti a Roma con il nome delle donne sulle croci è una feroce violazione della privacy e del dolore.
Francesca ha scoperto che nel camposanto sulla via Flaminia (il secondo della Capitale, dopo il Verano) «c’era una tomba a mio nome, senza il mio consenso e senza che io ne fossi a conoscenza». Anche lei, come Marta tre giorni fa, ha subìto un aborto terapeutico in un ospedale romano ma non avrebbe dato l’assenso alla sepoltura del feto, chiedendo mesi dopo l’intervento che fine avesse fatto.
Centinaia di croci su una anonima e fredda terra violentano menti, corpi e memoria di vite che hanno il diritto di rimanere nella propria intimità dolorosa. Invece la brutalità di un Paese si manifesta anche su una croce bianca.
Giuseppe Manzo giornale radio sociale