Libertà di stampa: a chi fa paura il Media Freedom Act?


Il Regolamento europeo sulla libertà dei media (European Media Freedom Act) è una legge dell’Unione Europea volta a proteggere la libertà, il pluralismo e l’indipendenza dei media all’interno del mercato unico europeo. Alcune sue parti sono già vigenti ma nella sua interezza entrerà in vigore dal prossimo 8 agosto. Perchè l’Europa ha pensato che fosse necessaria una legge a garantire la libertà di stampa? Non erano sufficienti le leggi esistenti e il fatto che la libertà di stampa sia scritta nelle costituzioni di molti paesi europei?
Forse perché, soprattutto in alcuni Paesi, il pluralismo è compromesso? La stampa è sotto pressione. Il regolamento europeo mira a garantire che i fornitori di servizi mediatici possano operare liberamente, senza pressioni indebite. E soprattutto mira a proteggerli da interferenze politiche o economiche, anche perché l’era digitale e quella dell’intelligenza artificiale potrebbero rendere il panorama editoriale ancora più opaco.
Sentiamo Michele Sorice, sociologo della comunicazione, dell’Università di Roma La Sapienza.

“L’European Media Freedom Act fa paura ad alcuni settori politici e imprenditoriali per varie ragioni. Innanzitutto, perché si tratta di una legge che tutela e protegge il lavoro dei giornalisti, limitando, per esempio, la possibilità del ricorso arbitrario a software spia. La seconda ragione riguarda l’indipendenza editoriale dei media pubblici, che dovranno essere realmente pubblici e non controllati da una parte politica. Fra le ricadute del dispositivo del Media Freedom Act c’è, per esempio, la necessità di prevedere mandati individuali e l’avvio di nomine sfasate per i membri degli organismi direttivi. In pratica, nel caso italiano, si tratterebbe di rivedere l’intero
funzionamento del Consiglio di Amministrazione della Rai. Ancora più importante, a mio avviso – afferma Sorice – la necessità, in prospettiva, dell’abrogazione del regime di concessione e convenzione, dal momento che la Rai, nel quadro della nuova normativa europea, non è concessionaria del servizio pubblico, ma esiste per attuarlo. In altre parole, è la ragione della sua stessa esistenza. Una terza ragione, secondo me, risiede nell’obbligo di trasparenza della proprietà, che è essa stessa garanzia di indipendenza e assicura sia la dignità di chi lavora nel mondo della comunicazione, sia del pubblico, fatto di cittadine e cittadini e non solo consumatrici e consumatori. È ovvio che questo aspetto faccia paura a chi, invece, preferisce che le proprietà delle media company siano oscure e magari abbiano qualche commistione con gruppi di potere, gruppi economici o attori politici. Una quarta ragione – conclude Sorice – riguarda il meccanismo di limitazione all’uso arbitrario di contenuti mediali da parte delle grandi piattaforme; la legge europea, da questo punto di vista, aiuta anche a definire che cosa sono i media indipendenti e le fonti non indipendenti. La legge quindi fa paura, ma sicuramente non a chi crede nel valore della comunicazione come strumento di democrazia”.

Nel Media Freedom Act si parla anche di difendere il pluralismo all’interno di media company pubbliche come la Rai: quali sono i problemi? La Rai è ancora la prima industria culturale del Paese? Risponde Roberto Natale, consigliere d’amministrazione Rai:

“L’articolo 5 del Media Freedom Act che entra in vigore l’8 agosto si intitola significativamente ‘Garanzie per il funzionamento indipendente dei fornitori di media di servizio pubblico’. Questa indipendenza va garantita in due modi: nelle procedure di nomina del vertice e nell’attribuzione delle risorse. Per quanto riguarda le procedure di nomina – continua Natale – non dovrebbero riguardare il governo che invece, nella legge attualmente vigente sulla Rai, la cosiddetta ‘legge Renzi’, ha un peso determinante nell’indicazione dell’amministratore delegato e, indirettamente, nella composizione stessa del Consiglio. So che si sta ragionando su una parlamentarizzazione della governance Rai: tre membri eletti dalla Camera, tre membri eletti dal Senato, oltre al rappresentante scelto dai dipendenti. Il punto decisivo al riguardo – sottolinea il consigliere Rai – è che questa scelta del parlamento avvenga a maggioranza qualificata, cioè con un largo coinvolgimento tra maggioranza e opposizione, sul modello di quello che avviene per i giudici della Corte Costituzionale. Per quanto riguarda le risorse è essenziale, dice il Media Freedom Act, che siano certe e programmabili per più anni. Anche qui rompendo con il meccanismo attuale per il quale il servizio pubblico italiano sa, solo di anno in anno, di quali risorse poter disporre peraltro risorse tra le più scarse in tutta Europa tra tutti i servizi pubblici e così è esposto a un ricatto anno per anno”. Questo meccanismo va corretto, conclude Natale.

Nel Media Freedom Act si parla anche di proteggere il lavoro dei giornalisti, sembrerebbe una cosa legittima in qualsiasi paese democratico. E invece.
C’è qualcuno a cui fa paura il Media Freedom Act? Sentiamo Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione Nazionale della Stampa.

“L’European Media Freedom Act fa paura perché è una grande opportunità per la libertà e per la sicurezza dei giornalisti e, quindi, viene vissuto con insofferenza da parte di chi in realtà è insofferente nei confronti della libertà dei giornalisti. Questo lo possiamo vedere negli atteggiamenti del governo italiano che, piuttosto che fare rotta verso Bruxelles, evidentemente sta facendo rotta verso l’Ungheria. Quindi, è ovvio che fa paura un servizio pubblico autonomo e indipendente, fa paura la tutela delle fonti dei giornalisti, fa paura tutto ciò che consente ai giornalisti di essere, come ci ha richiamati il presidente della Repubblica, in occasione della cerimonia del Ventaglio, “cani da guardia del potere”. Io credo che sia indispensabile che le istituzioni europee accendano una luce su quello che sta avvenendo in Italia; non possiamo aspettare i tempi delle procedure di infrazione, che richiedono tempi troppo lunghi. Intanto, la libertà viene messa a repentaglio e il paradosso qual è? Che i cittadini italiani si troverebbero, a quel punto, a pagare due volte: la prima volta perché hanno perso la libertà, la seconda volta perché lo pagano sotto forma di sanzione economica: è un dazio che non ci possiamo permettere”.

Perché anche il terzo settore è interessato ad una stampa libera e indipendente? Quali sono le chances della comunicazione sociale e perché l’applicazione del Media Freedom act potrebbe dare impulso anche alla comunicazione sociale?
Risponde Ivano Maiorella, direttore del Giornale Radio Sociale.

“C’è interesse nel terzo settore affinché il Media Freedom Act non rimanga lettera morta. Questo è dovuto a varie ragioni, sia perché nel terzo settore ci sono molti soggetti editori, sia perché ci sono molti giornalisti che fanno comunicazione sociale. Ricordiamo che il codice del terzo settore, all’articolo 5, tra le attività di interesse generale, parla del terzo settore come produttore di attività culturali e attività editoriali per la promozione e la diffusione della cultura. Piero Gobetti negli anni venti parlava dell’editore ideale libero e indipendente e, forse, quell’ editore ideale non esiste ma l’editoria libera e disinteressata è un bene al quale è interessante provare ad avvicinarsi. Un editore si muove all’interno di un contesto, per questo vanno creati spazi favorevoli a questo tipo di fenomeno, ovvero le condizioni di contesto che favoriscano la sua esistenza. Un contesto plurale e un sostegno all’editoria sociale del terzo settore, come avviene per altri ambiti editoriali. Siamo interessati anche come giornalisti sociali alla libertà di stampa, portata avanti dal Regolamento europeo sulla libertà dei media; libertà di stampa e difesa dell’indipendenza del giornalista. Solo così si può valorizzare il patrimonio narrativo di cui il terzo settore è infaticabile costruttore. Farlo in maniera libera, separando la pubblicità dai contesti redazionali e, soprattutto, dalla funzione informativa del giornalista”.

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