Nella casa circondariale di Busto Arsizio, grazie al Centro sportivo italiano l’attività sportiva diventa strumento di inclusione e rinascita. Allenamenti e tornei di pallavolo, basket, scacchi e calcio e un corso per arbitri per ritrovare fiducia e a costruire nuove possibilità, dentro e fuori dal campo.
«Il carcere è un mondo che non si conosce per niente, a meno di non aver avuto qualcuno vicino che è o è stato recluso. Se ne sente parlare solo per sentito dire, per quello che si legge sui giornali, per le polemiche dei politici. Quando però entri dentro un penitenziario, cambi completamente atteggiamento. Ti accorgi che molti dei detenuti non sono dei mostri, ti accorgi che tanti sono ragazzi che avrebbero potuto avere un futuro diverso se avessero avuto una persona che, al momento giusto, avesse detto loro: “Ma cosa stai facendo? Fermati, ti do una mano io”». Michele Lepori, vicepresidente del comitato di Varese del Centro sportivo italiano – Csi, descrive così il suo incontro con la Casa circondariale di Busto Arsizio, in cui l’associazione già entra portando attività legate allo sport sociale e in cui amplierà la propria presenza grazie al progetto “Liberamente sportivi”, finanziato da Sport e salute, che prevede oltre 100 ore di allenamenti di pallavolo basket, scacchi e calcio.
«Abbiamo cominciato perché un’associazione che è nostra partner, che si chiama L’Altropallone, ci ha coinvolti», continua Lepori. «Abbiamo iniziato a portare delle squadre esterne dei nostri campionati a fare delle amichevoli. Così, abbiamo deciso di scrivere questo progetto». Al momento, sono già iniziati gli allenamenti con un gruppo di giovani adulti fino ai 24 anni, una parte importante della popolazione carceraria di Busto Arsizio. Verrà organizzato anche un vero e proprio torneo, in cui le persone detenute giocheranno sempre in casa, ricevendo altri team. «Il contatto con l’esterno dà a questi ragazzi una boccata d’ossigeno, perché sappiamo bene come può essere la vita all’interno di una casa circondariale», commenta Lepori. «Da parte di chi entra all’inizio ci sono dei timori e dei pregiudizi, che però vengono presto dimenticati quando si inizia a giocare. Utilizzare lo sport permette di abbattere le sovrastrutture che una persona ha in testa e di creare dei bei rapporti».
Le società che sono entrate a giocare in carcere, infatti, chiedono spesso di tornare. I ragazzi detenuti scendono in campo con la voglia di giocare e basta – dicono –, non ci sono polemiche con l’arbitro o con gli avversari. «Si sente proprio l’importanza per loro delle due ore che passiamo assieme», commenta il vicepresidente del Csi di Varese. «Dà loro un obiettivo, un momento di sfogo».
Nel progetto sono coinvolte anche altre realtà del Terzo settore, come la cooperativa Intrecci, che aiutano nel processo di selezione dei partecipanti agli allenamenti e alle partite. I giovani, però, non saranno solo coinvolti nel gioco, ma saranno destinatari anche di una formazione: all’interno della casa circondariale partirà un corso arbitri, che li certificherà come arbitri ufficiali di calcio a sette per il Csi. «Una volta usciti, se rimarranno in zona, perché essendo vicini a Malpensa molti sono persone che hanno commesso reati all’aeroporto e che dopo torneranno nel loro Paese, potranno arbitrare le nostre partite», commenta Lepori.
Molte delle società sportive coinvolte dal Csi hanno una vocazione sociale e sono particolarmente sensibili ai contesti sociali svantaggiati e alla mancanza di possibilità che hanno fatto finire i ragazzi – anche molto giovani – dietro le sbarre. «Ci sono alcune società che si sono offerte di ospitare i detenuti una volta usciti, altre sono arrivate con dei palloni da regalare», conclude Lepori, «perché si accorgono oche si tratta di giovani che se avessero trovato una mano tesa al momento giusto non darebbero finiti in questa situazione».





