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Grs week 11-12 febbraio – Buona scuola? L’istruzione a un bivio

Bentornati all’ascolto del Grs week, in studio Giovanna Carnevale. “L’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo”, diceva Nelson Mandela. Cruciale, si potrebbe aggiungere, è allora pensare bene a come lo si vuole cambiare. Perché  se è scontato che i bambini di oggi saranno gli uomini di domani, non lo è pensare a lungo termine in un’ottica culturale e porre le basi adesso  per una società futura che non contempli solo il valore della competizione e della produzione. La scuola è lo specchio di un Paese in fase embrionale. Quella italiana in questi anni sta cambiando molto velocemente. Ma come lo sta facendo? Ascoltiamo la scheda di Giordano Sottosanti.

Ma sono tanti i punti della riforma che non accontentano né gli insegnanti né gli studenti e si parla anche di “accanimento riformatore” di un’istituzione che ha sì bisogno di miglioramenti ma che tutelino il diritto alla conoscenza da un sistema sbilanciato sulla valutazione. Un esempio è l’alternanza scuola-lavoro di cui ci parla Giammarco Manfreda, coordinatore Nazionale della Rete degli Studenti Medi.

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E c’è poi la questione degli studenti con disabilità. Continuità didattica degli insegnanti e inclusione sono le parole d’ordine che il Governo dovrebbe avere per realizzare davvero una buona scuola. Ma per il mondo associativo non si sta andando in questa direzione e il perché ce lo spiega Vincenzo Falabella, presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap.

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Quale scuola vorremmo che fosse vissuta dagli uomini di domani? Uno spunto potrebbe venire da una persona, Simonetta Salacone, che ha insegnato per gran parte della sua vita difendendo sempre il valore dell’integrazione. Deceduta poche settimane fa, credeva in una scuola che aiutasse bambini e adolescenti a confrontarsi con idee e culture diverse, a incontrare altre narrazioni e a non credere a certezze dogmatiche.

GRSWEEK 4-5 febbraio 2017 – Nell’Italia di Sanremo

 

Bentrovati all’ascolto del GRSWEEK da Fabio Piccolino

 

Il Festival di Sanremo è spesso lo specchio del presente dell’Italia: che piaccia o meno, offre uno sguardo sul nostro paese e sullo stato della sua offerta culturale.
Ma a che punto è l’Italia del 2017?
Un paese vecchio che ha paura di guardare al futuro, di sbilanciarsi, di perdere il suo fragile equilibrio.
Che guarda al nuovo con diffidenza, a distanza di sicurezza.

Sanremo diventa così un grande contenitore popolare che ha l’ambizione di piacere a tutti, unendo la tradizione da cui non si prescinde a cauti cambiamenti.

Cambiare: difficile immaginarlo in questa edizione 2017:  Carlo Conti è alla terza conduzione di fila e sembra  il padrone di casa perfetto per un immaginario immobile e rassicurante. Con lui  c’è Maria De Filippi, la signora della televisione dei sentimenti artefatti e delle lacrime, dei talent mangiasogni e del gossip della gente comune. I due principali concorrenti televisivi  uniti nel segno del nazional-popolare e quindi del successo  senza scossoni, benedetto dalla satira  di Maurizio Crozza, pungente all’apparenza ma innocua nella sostanza.
Annunciato da spot pubblicitari di dubbio gusto, Sanremo 2017 è in primis una gara canora anche se paradossalmente questo sembra essere un aspetto di secondo piano.
Tra i 22 artisti in gara abbondano quelli venuti  direttamente dai talent show, assieme a quelli perfettamente a proprio agio con il palco dell’Ariston , oltre ai soliti e rari esperimenti di musicisti estranei al meccanismo Sanremo.
Ascoltiamo il parere di Paolo Bassotti, esperto di cultura pop:

 

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Il Festival della Canzone Italiana può ancora definirsi tale? Quella che va in scena è la rappresentazione dell’offerta musicale del paese o è solo una delle sue sfaccettature?
Per dimostrare che il festival non rappresentava in pieno la musica italiana, negli anni 80 nacque la contro-manifestazione Sanremo Rock in cui, nelle diverse edizioni, si esibirono molti musicisti fuori dal circuito dell’Ariston.
Oggi la musica cosiddetta indie non è più di nicchia ma punta al grande pubblico e lo conquista, come dimostrano gli exploit di artisti come Calcutta e The Giornalisti, o il boom della musica rap. Uno scollamento della realtà che coinvolge soprattutto i giovani, i veri consumatori culturali di questo paese.
Ai nostri Tommaso Zanello, in arte Piotta

 

[sonoro]

 

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