L’ultima si chiamava Angelina, 56 anni insegnante di scuola media del casertano. Insieme a lei, un elenco drammatico di donne, 60 dall’inizio dell’anno, sono state uccise dagli uomini della loro vita; per la maggior parte dei casi infatti si tratta di mariti, compagni fidanzati, figli. Ma non c’è solo il femminicidio. Secondo i dati dell’Istat al 2015 oltre sei milioni di donne italiane hanno subito violenza fisica o sessuale. Un fenomeno diffuso e trasversale, connesso a condizioni di vita sempre peggiori per le donne italiane di ogni età e classe sociale. Ascoltiamo la scheda di Giuseppe Manzo.
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Per combattere il fenomeno sul campo, sono fondamentali i Centri Antiviolenza, strutture, che offrono supporto legale e psicologico, rispondono ai casi di emergenza, collaborano con le forze dell’ordine e i servizi sociali, organizzano attività di promozione culturale. E con le case rifugio, danno anche ospitalità alle donne in pericolo che non possono più tornare a casa. Nonostante la legge anti femminicidio del 2013 abbia stanziato 12 milioni di euro le strutture sono spesso allo stremo per mancanza di fondi, come spiega ai nostri microfoni Lella Palladino di Di.Re la rete di 75 centri antiviolenza sparsi in tutta Italia
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Il femminicidio non ha a che fare solo con le donne ma con il grado di libertà e di civiltà di un paese. Ed è compito della politica e della cultura creare un’alternativa, promuovendo l’utilizzo di un linguaggio corretto anche nel racconto attraverso i media come ci spiega la giornalista Silvia Garambois
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Ma se l’aspetto culturale il linguaggio il rispetto delle differenze è fondamentale per .Come per il reato di omicidio stradale, che è un’aggravante dell’omicidio colposo o come le aggravanti per l’omicidio a sfondo razziale, che è un omicidio di genere, chiediamo un’aggravante per il reato di Femminicidio, che è sempre un omicidio di genere e che ha numeri di una vera e propria strage, rientrando nei casi di allarme sociale.
In studio Giuseppe Manzo. E’ la nuova maggioranza, silenziosa e invisibile. Rappresentano la metà degli italiani, soprattutto nelle grandi città: sono gli astensionisti. Questo è il dato che è emerso dal voto del 5 giugno e che si appresta ad essere confermato anche nel giorno dei ballottaggi del 19. Sono numeri che spiegano un fenomeno strutturato con la crisi economica che mette in primo piano il sentimento di disillusione, le nuove forme di partecipazione e le incapacità della politica. Ascoltiamo il direttore dell’agenzia stampa Redattore Sociale Carla Chiaramoni …
Oltre alla mancanza di temi che la campagna elettorale esprime e all’affezione della politica mediatica alla polemica social c’è un quadro più profondo che allontana l’elettorato dal voto. E non vuol dire che sia mancanza di partecipazione civile.
Ascoltiamo il servizio di Giordano Sottosanti: “Sono stati 1.342 i Comuni chiamati al voto lo scorso 5 giugno. Ancora in crescita l’astensionismo. La scelta di tenere aperti i seggi solo la domenica non ha aiutato. Sono ormai un lontano ricordo le lunghe file ai seggi registrate fino agli anni ’90. Sarà che non esistono più i partiti di massa della Prima Repubblica o che ormai gli italiani abbiano smesso di credere nell’utilità del proprio voto, a causa di sempre più Comuni commissariati e Governi scelti da organismi sovranazionali. In questa ottica, purtroppo, il non voto ha rappresentato una forma di protesta. Anche i media ci hanno messo del loro, cercando di cavalcare polemiche sterili ma sensazionalistiche tra candidati, anziché raccontare i loro programmi. Soffia un sentimento di sfiducia che sembra inarrestabile, nonostante un Premier giovane, l’avanzare di movimenti “di protesta” o l’introduzione della preferenza di genere. Di certo, per portare la gente a votare occorrono candidati capaci e credibili. Ma i partiti sembrano aver perso la capacità di selezionare la loro classe dirigente. E allora spesso preferiscono mimetizzarsi dietro figure e liste “civiche” che disorientano l’elettorato. Addirittura in tre piccoli Comuni le elezioni sono state rinviate per assenza di candidati.”
Il rifiuto o l’indifferenza verso il voto è un dato che coinvolge soprattutto le grandi città. Sono i grandi agglomerati urbani, da Nord a Sud, che esprimono le tensioni sociali più forti e la lontananza dal voto. Ascoltiamo il servizio di Anna Monterubbianesi: “Il 5 giugno l’Italia è andata al voto per scegliere il sindaco in molte città. Il Paese è arrivato al momento elettorale con grande tensione, molte aspettative e tanta incertezza che i risultati delle comunali hanno pienamente confermato delineando un quadro nuovo: tutte le principali città sono finite al ballottaggio, i vecchi partiti hanno perso forza e radicamento nei territori e una nuova forza politica si è fatta ampio spazio in questo clima di crescente insicurezza. Ma il dato che è emerso su tutti è stato quello della forte astensione nelle città metropolitane. Il 5% in meno in media di affluenza rispetto alla precedenti amministrative con dei picchi importanti, come a Milano e Bologna, anche se in alcune città si è votato di più. E se la campagna elettorale non è stata di quelle che spingono gli elettori ad andare alle urne, la rassegnazione e la crescente disaffezione da parte dei cittadini alla politica, più che la disillusione per i singoli candidati, sono ormai piuttosto evidenti.”
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