Pechino 2022: che vincano i diritti

 

Le Olimpiadi invernali di Pechino 2022 sono al centro di polemiche, denunce e boicottaggi: i grandi eventi sportivi internazionali si confermano cassa di risonanza per regimi e forme di stato opache, e per questo diventano centro di scontri politici e sociali e simbolo di campagne e mobilitazioni planetarie. A maggior ragione in questa occasione, in cui ad ospitare i Giochi è la Cina, che attira su di sè critiche e attenzioni provenienti da vari ambiti, a partire dalla violazione dei diritti umani e civili, dall’assenza di libertà di stampa, alla repressione degli oppositori a Hong Kong, fino alla gestione della minoranza musulmana uigura nel territorio dello Xinjiang. Tutte questioni che ruotano intorno al fenomeno dello sportwashing: contro cui si alza la voce di Amnesty international, che chiede alla Cina la liberazione di persone perseguite o detenute per aver esercitato la loro libertà di espressione.

“Il legame tra sport e diritti è antico ma in questi ultimi 20 anni lo sport è stato usato per far dimenticare quello che accade all’interno dei paesi, partita dai Paesi arabi e è ormai una tendenza abbastanza diffusa – dice Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia – E’ la pratica dello sportwashing, ai cui fini lo sport è efficace perché si basa su un’affermazione falsa, cioè che lo sport non abbia niente a che fare con cose esterne come i diritti umani. Poi si basa sull’entusiasmo dei tifosi che non necessariamente è informato su tali questioni e infine, fa affidamento sull’idea di molti giornalisti sportivi che i temi dei diritti umani debbano riguardare altre sezioni del giornale”.

Una versione aggiornata del boicottaggio è invece quella messa in campo da Stati Uniti, Australia, Canada ed altri Paesi, che non invieranno rappresentanti del Governo a Pechino, mentre gli atleti potranno prendere parte alle competizioni. Qual è il senso di questo boicottaggio diplomatico? Quale messaggio vuole mandare alla Cina? “Intanto proporrei di smettere di chiamarlo boicottaggio diplomatico, al massimo è uno sgarbo, perché queste presenze non sono obbligatorie – dice Nicola Sbetti, storico dello sport – è importante per la sua visibilità internazionale e mediatica che lo rende un messaggio politico. Ma si tratta di una presa di posizione tutto sommato debole, che permette di accontentare l’opinione pubblica interna senza andare a rompere i rapporti con la Cina, anche perché Cina e Usa ad esempio hanno relazioni economiche e culturali regolari, non ci sono le condizioni che hanno portato nell’80 a boicottare i Giochi perché l’Unione Sovietica aveva invado l’Afghanistan. Serve a mandare un segnale, però è un piccolo gesto. Quello che sorprende è l’assenza delle istituzioni sportive”.

Intanto il 4 febbraio si aprono i Giochi invernali, cosa ci dobbiamo aspettare da questa edizione? Risponde Valerio Piccioni, giornalista de La gazzetta dello sport: “Il dubbio è sempre lo stesso il boicottaggio è uno strumento che non si usa più perchè danneggia solo gli atleti, quello diplomatico è un’arma spuntata. Bisogna trovare trovata una via di mezzo, e forse questo è un ruolo affidato alla capacità e alla fantasia degli atleti, e soprattutto al loro coraggio”.