Vento dell’Est

di Pietro Briganò

Mentre scriviamo dell’attualità del messaggio di Svetlana Alexsievic, ricorrono le immagini del massacro nella piazza della stazione di Ankara. Era (solo) una manifestazione per la pace trasformata in un inferno. Pace, pace, pace è il vento che soffia da est. La risposta è dolore. Lo stesso dolore raccontato dal premio Nobel per la letteratura.

“Opera polifonica, un monumento al coraggio e al dolore della contemporaneità”  è la motivazione che ha spinto l’Accademia di Svezia a consegnare il premio a Svetlana Aleksievic. Classe 1948, nata in Ucraina e ora in esilio a Parigi perché il regime del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko l’ha perseguitata con l’accusa di essere un’agente della CIA. Lei che, attraverso i suoi personaggi, racconta il regime di Putin. Il suo è un monito che chiarisce: “Amo la Russia ma non Putin”.

In una Europa attraversata da una profonda crisi politica, sociale, economica ma soprattutto culturale il nobel alla Aleksievic arriva come una boccata di ossigeno, una ventata di aria fresca che soffia sulle ceneri di chi, prima di lei, ha avuto il coraggio di contestare un regime. Un impegno condiviso da molti, tra cui Anna Politkovskaja, la giornalista russa anch’essa scomoda al regime, di cui in questi giorni si è celebrato l’anniversario dell’assassinio avvenuto a Mosca il 7 ottobre del 2006.

Perché contestare un regime resta ancora, per chi si impone perpetrando la manipolazione delle coscienze, motivo per uccidere. Si ripiomba, come in un incubo, nel clima descritto ne “Le Vite degli altri”, il bellissimo film diretto da Florian Henckel von Donnersmarck ambientato nella Berlino del 1984, vincitore del Premio Oscar per il miglior film straniero nel 2006. Chi contesta è spacciato. Ma quella è un’altra storia.

Svetlana Aleksievic racconta di un regime, come quello della Bielorussia a cui dedica il Premio, guidato ininterrottamente dal 1994 dal dittatore Lukashenko, che si prepara ad ottenere l’ennesimo plebiscito. Un paese sull’orlo della recessione, vista anche la dipendenza da Mosca con un tasso di inflazione intorno al 20% e dove chi si candida come alternativa finisce poi nelle patrie galere.

Non c’è spazio per la contestazione, per contrastare un regime che insabbia e non c’è spazio per la cultura. Così le testate giornalistiche che hanno visto la Alexsievic muovere i primi passi come cronista non ci sono più. E quei pochi dissidenti che restano sono costretti a nascondersi.

Un articolo pubblicato da Internazionale il 26 marzo del 2010 e riproposto in questi giorni chiarisce, più di qualunque parola, il valore dei suoi articoli che pesano come macigni sulle coscienze di ciascuno di noi.

Nella nostra casa vivono due guerre di Svetlana Aleksievic