Il turismo nelle mani delle mafie dopo un anno di pandemia


 

Il turismo nelle mani dei clan e dei loro affari. Supera i 2,2 miliardi, di cui quasi il 40% concentrati nel Mezzogiorno, il giro d’affari della criminalità organizzata derivante dall’infiltrazione nell’economia legale del settore turistico.

Lo calcola una ricerca realizzata da Demoskopika e anticipata dall’agenzia Ansa. Alla sola ‘ndrangheta si attribuisce il 40% del giro d’affari complessivo, e sono quasi 4.500 le aziende a maggior rischio di riciclaggio associato a crisi di liquidità causata dalla pandemia.  Sono sei le regioni nel mirino: Campania, Sicilia, Lazio, Calabria, Lombardia, Puglia.

Marche, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige hanno invece il rischio più basso.

È la ‘ndrangheta il primo broker con un giro d’affari di 810 milioni, poi la camorra  e la mafia ma anche la criminalità organizzata pugliese e lucana. Osservando il livello territoriale emerge, inoltre, che nelle realtà del Mezzogiorno si concentrerebbe il 38% degli introiti criminali, pari a 825 milioni.

Dopo un anno e oltre di chiusura e conseguente crisi del sistema di servizi e accoglienza turistica possono pregiudicare non solo l’economia ma anche la sostenibilità del territorio: il turismo vuol dire anche cibo, natura, ambiente e rapporto con le comunità.

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Giuseppe Manzo giornale radio sociale