“Morire di lavoro” e quella domanda che resta nel vento


 

L’inizio del trailer del film Morire di lavoro di Daniele Segre, pellicola del 2008. Dopo 14 anni non è cambiato nulla e tra poco vi spiego perché.

Parliamo di morti sul lavoro come ogni inizio settimana e aggiorniamo il numero della strage silenziosa attraverso l’Osservatorio indipendente di Bologna. Dall’inizio dell’anno sono morti 390 lavoratori, 195 di questi sui luoghi di lavoro i rimanenti in itinere e sulle strade. In particolare ci sono stati 43 agricoltori schiacciati dal trattore e 28 Autotrasportatori morti in questo 2022.

Su questa emergenza costante esce il book di Repubblica “Morire di lavoro”, titolo dell’omonimo osservatorio che il giornale dedica alle morti bianche, a cura di Marco Patucchi. Nella prefazione del volume così scrive Stefano Massini: “Le storie che leggerete contengono l’assurdità del meccanismo, la sua banalità, la sua inappellabile spietatezza. E su tutte risuona quella domanda che un parroco di Lecco lancia dal pulpito nell’omelia funebre di uno (uno dei tanti) operai: “Ci chiediamo perché”. Sì, giusto, ce lo chiediamo. Alcuni casi straordinari, su cui i dadi della sorte hanno infierito, ci fanno forse trasalire, ma gli altri? Non è forse spiazzante – ancora di più – morire cadendo da un ponteggio in un giorno qualsiasi di un qualsiasi anno, senza che nulla faccia gridare ulteriormente allo scandalo. Non è forse già il morire uno scandalo? E di nuovo, perché? È una domanda che resta nel vento, come nella famosa canzone. Preparatevi, perché il vuoto che accoglie e spegne quel punto interrogativo sarà un convitato di pietra durante tutta la lettura di queste pagine in cui state per addentrarvi”.

E con queste gocce di memoria cinematografica questa settimana accendiamo il focus sul lavoro fino al primo maggio.

Ascolta Ad Alta Velocità, rubrica quotidiana a cura di Giuseppe Manzo – giornale radio sociale