Riutilizzo beni confiscati: un modello alternativo di sviluppo territoriale


 

Questo è il momento in cui in Pakistan la polizia ha lanciato lacrimogeni sulla manifestazione in occasione della Giornata internazionale della donna.

Oggi parliamo di beni confiscati. Un popolo variegato di associazioni, cooperative sociali, del mondo del volontariato dalla Lombardia alla Sicilia protagonisti della trasformazione da beni in mano alle mafie a beni comuni e condivisi.

In occasione dell’anniversario della legge n. 109/96 per il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie, Libera ha censito le esperienze di riutilizzo sociale dei beni confiscati. Sono 991 soggetti diversi impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, ottenuti in concessione dagli Enti locali, in ben 18 regioni, in 359 comuni.

Una rete di esperienze in grado di fornire servizi e generare welfare, di creare nuovi modelli di economia e di sviluppo, di prendersi cura di chi fa più fatica. Più della metà delle realtà sociali è costituito da associazioni di diversa tipologia (525) mentre le cooperative sociali sono 217 (con 5 cooperative dei lavoratori delle aziende confiscate e 26 consorzi di cooperative).

Libera con la ricerca “Raccontiamo il bene” – Le pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie vuole raccontare, dopo ventisette anni, il Belpaese, dove in silenzio, opera  una comunità alternativa a quelle mafiosa, che lavora e si impegna a  realizzare un nuovo modello di sviluppo territoriale. Ascoltiamo Tatiana Giannone, referente beni confiscati di Libera.

Ascolta Ad Alta Velocità, rubrica quotidiana a cura di Giuseppe Manzo – giornale radio sociale