Nei giorni scorsi è stato pubblicato il quinto rapporto di Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nelle carceri, sul sistema della giustizia minorile in Italia. Susanna Marietti, coordinatrice nazionale e curatrice del volume, spiega la scelta del titolo: “abbiamo preso spunto dalla canzone di Fabrizio De Andre, Un Medico, nella quale il protagonista sognava da bambino di guarire i ciliegi. Allo stesso modo noi nutriamo la speranza che il sistema giudiziario minorile del Paese possa proteggere i ragazzi reclusi al suo interno. Significa lasciare loro aperte tutte le opportunità al di fuori delle mura che li circondano. Dare ai giovanissimi detenuti la speranza che oltre il carcere, c’è la vita”.
Questo è lo spirito che, anche quest’anno, ha accompagnato l’associazione Antigone nella stesura del suo quinto rapporto sugli Istituti Penali per i Minorenni. Presentato nella mattinata di giovedì 20 febbraio all’interno della Comunità Borgo Amigò, circolo sociale della periferia Ovest di Roma, il documento ha posto in evidenza la decrescita dei reati commessi da minori alla quale corrisponde una diminuzione delle detenzioni. Un fattore fondamentale per valutare con segno positivo lo stato di salute del sistema giudiziario minorile. Ancor più se si considera il dato in controtendenza rispetto alla fascia d’età adulta, la quale registra invece un aumento della popolazione detenuta.
Tra minori e giovani adulti sono 375 i detenuti negli Istituti del Paese (registrazione del 15 gennaio 2020). Una cifra poco più bassa rispetto la media che si aggira intorno ai 400/500. Da Caltanissetta a Treviso, sono diciassette gli IPM nazionali con caratteristiche e dimensioni anche molto diverse tra loro. Quello con più presenze è il Nisida di Napoli che ospita quarantacinque detenuti, mentre a Caltanissetta ne sono presenti soltanto tre.
Il minore numero di ragazzi carcerati corrisponde ad un calo degli atti criminosi. Fra il 2014 e il 2018 le segnalazioni da parte delle forze di polizia all’autorità giudiziaria riguardanti i reati commessi da minori sono diminuite dell’8,3%, passando da oltre 33.300 nel 2014 a 30.600 nel 2018. Fra i delitti calano gli omicidi volontari (-46,6%) e colposi (-45,4%), i sequestri di persona (-17,2%), i furti (-14,03%), le rapine (-3,9%) e l’associazione per delinquere (-82,5%). Viceversa preoccupa la crescita, rispetto al 2014, dei minori monitorati per associazione di tipo
mafiosa (+93,8%: erano quarantanove nel 2014, sono diventati novantacinque nel 2018). Proprio il precoce coinvolgimento di bambini e adolescenti nel malaffare rappresenta un ulteriore campanello d’allarme di un profondo radicamento di quest’ultimo nella società italiana. Un segnale di un continuo ricambio generazionale tra gli anziani capimafia e i giovani delinquenti, futuro della cosca malavitosa. Sradicare questo ciclo illegale, lo ha dimostrato la storia italiana, richiede coraggio e ingenti provvedimenti di natura socioeconomica. In questo senso, negli anni il ruolo delle Comunità di accoglienza ha ottenuto sempre più rilevanza. Al loro interno i ragazzi sostengono attività di volontariato e lavori socialmente utili, proseguono e completano gli studi. Circa la metà di ragazze e ragazzi esce dagli IPM (senza aver scontato l’intera pena) per raggiungere la comunità. E d’altronde, se al 15 gennaio 2020 i ragazzi negli IPM erano 375, nello stesso giorno i ragazzi in comunità erano 1.104. Un numero che s’inserisce nel più ampio sistema nazionale delle comunità di accoglienza, che ospita nel suo complesso circa ventimila ragazzi, dei quali dunque quelli provenienti dall’area penale costituiscono una piccola minoranza. La loro presenza è però quasi raddoppiata negli ultimi dieci anni. Il motivo che definisce le Comunità di accoglienza un asse portante del sistema della giustizia italiana.
L’associazione Antigone lavora proprio verso questa direzione: allontanare ragazze e ragazzi dalle prigioni, avvicinarli alla società civile. Dare a loro una riabilitazione nel terreno del sociale, anziché umiliarli nel campo del penale. Solo in questo modo si potrà tornare a far sbocciare i ciliegi. Come scriveva Fabrizio De Andrè: “Un sogno, fu un sogno ma non durò poco; Per questo giurai che avrei fatto il dottore; E non per un dio ma nemmeno per gioco; Perché i ciliegi tornassero in fiore”.
di Pierluigi Lantieri