Nel nome dei diritti – Domani e dopodomani a Milano la tappa finale degli Stati Generali di Anffas che ha raccolto in ogni Regione d’Italia le istanze relative alle disabilità intellettive e ai disturbi del neurosviluppo. Ora, sottolinea l’associazione, si apre una nuova fase per migliorare le leggi e i servizi per le persone.
“Un duplice appuntamento in regione Lombardia per chiudere il cammino che Anffas ha iniziato ormai due anni fa e che ha visto coinvolto il nostro intero movimento associativo, le istituzioni, le famiglie e, soprattutto, le nostre persone” dichiara Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas “La voce diretta degli Autorappresentanti ha infatti attraversato tutto il territorio nazionale rimarcando l’urgenza di intervenire per rendere realmente esigibili i diritti delle persone con disabilità in ogni ambito della loro vita: non hanno usato mezzi termini ma hanno indicato, attraverso le loro dirette esperienze di vita vissuta, tutto ciò che ancora oggi non funziona e non rispetta la loro dignità e quella delle loro famiglie”. Conclude il presidente Speziale: “Gli Stati Generali hanno rappresentato un momento di riflessione e confronto che però non si chiude con gli appuntamenti di Milano ma che anzi apre una nuova fase di responsabilità e attuazione di tutte le istanze emerse”.
Emilio Rota, Presidente Anffas Lombardia: “All’interno di questa roadmap milanese di 3 giorni, che vede Anffas tutta impegnata in un’azione di Advocacy proiettata su obiettivi futuri, siamo lieti di poter celebrare gli Stati Generali sulle disabilità intellettive e del neurosviluppo della nostra Regione, cui seguiranno gli Stati Generali sulle disabilità intellettive e del neurosviluppo nazionali”.
Decreto Sicurezza e madri detenute: l’appello per un’alternativa umana alla pena
Donne dietro le sbarre – Dop caso della 24enne incinta in carcere a Venezia risale l’attenzione sugli effetti del decreto Sicurezza. Il servizio è di Giovanna Carnevale.
Nel nostro Paese ci sono attualmente 28 donne madri in carcere, di cui alcune incinte, e 26 figli. E un peso importante sui numeri dipende dalla norma, contenuta nel decreto Sicurezza, che rende facoltativo, e non più obbligatorio, il rinvio della pena per le donne in gravidanza e con figli sotto i 3 anni. Per il Garante campano dei detenuti, Samuele Ciambriello, c’è chi si vanta di questa disumanità, ma il carcere non può essere l’unica risposta per una donna incinta che ha commesso un reato. Nessun bambino o bambina dovrebbe crescere dietro le sbarre.
Studenti iraniani fermi in patria: l’Italia non concede i visti
Studiare in Italia – Centinaia di studenti iraniani regolarmente iscritti nelle nostre università sono da mesi bloccati in Iran perché l’ambasciata italiana non fissa l’appuntamento per l’esame della domanda di visto. Una situazione grave che si spera sia presto sbloccata, grazie al ricorso dell’Associazione Studi Giuridici per l’Immigrazione, che il Tribunale di Torino ha già accolto.
Ogni anno oltre 3.000 studenti e studentesse iraniani vengono ammessi nelle università italiane, che vantano intensi contatti con la comunità iraniana; questa rappresenta infatti la più numerosa comunità di studenti stranieri (oltre 13.000) del cui apporto beneficia anche l’Italia, paese che è al penultimo posto in Europa per numero di laureati.
Una volta ammessi all’università, però, gli studenti devono ottenere il visto di ingresso entro il 30 novembre e quest’anno l’ambasciata italiana a Teheran ha comunicato l’apertura delle prenotazioni per il visto solo il 2 maggio per chiuderla 6 giorni dopo proprio fino al 30 novembre; ciò sta rendendo di fatto impossibile ottenere tempestivamente il visto, con la conseguente “condanna” degli studenti alla perdita dell’anno accademico.
Accogliendo il ricorso di un cittadino iraniano e di ASGI (che ha agito in favore di tutti gli altri esclusi) il Tribunale di Torino (giudice Chiara Comune) ha ordinato al Ministero degli Esteri e della Cooperazione italiana (MAECI) e all’Ambasciata italiana a Teheran di fissare l’appuntamento per l’esame delle domande entro il 30 novembre. Centinaia di studenti stanno già da ieri pressando l’Ambasciata per ottenere la data dell’appuntamento.
Legge di Bilancio, gli emendamenti FISH per un’Italia più inclusiva
La FISH ha presentato i suoi emendamenti alla Legge di Bilancio per le persone con disabilità. L’obiettivo è garantire risorse adeguate e strutturali per realizzare politiche realmente orientate alla realizzazione personale, all’inclusione sociale e lavorativa. Basta, afferma l’associazione, con le logiche emergenziali e assistenzialistiche.
“Le persone con disabilità e le loro famiglie non possono continuare a essere marginali nei processi di programmazione economica nazionale. È necessario un cambio di paradigma che metta l’inclusione, l’autonomia e la dignità al centro dello sviluppo del Paese”, dichiara Vincenzo Falabella, presidente della FISH.
Gli interventi proposti dalla Federazione si articolano su quattro direttrici strategiche:
1.Garanzia di risorse stabili e continuative per politiche e interventi finalizzati alla piena partecipazione delle persone con disabilità alla vita economica e sociale, attraverso percorsi personalizzati di inclusione lavorativa, formativa e comunitaria. Gli emendamenti prevedono il potenziamento dei fondi per l’inclusione attiva, la vita indipendente e l’accessibilità universale ai servizi.
2.Sostegno concreto ai caregiver familiari, riconoscendo il loro ruolo fondamentale nel sistema di welfare e assicurando strumenti economici, previdenziali e di conciliazione vita-lavoro che ne valorizzino la funzione di cura e di accompagnamento quotidiano.
3.Realizzazione di un sistema integrato di servizi di prossimità, capace di rispondere in modo personalizzato e tempestivo ai bisogni delle persone e delle famiglie nei territori, promuovendo la permanenza della persona nel proprio contesto di vita e la deistituzionalizzazione.
4.Rafforzamento della governance delle politiche sulla disabilità, attraverso la stabilizzazione di sedi di confronto strutturato e partecipato con le organizzazioni rappresentative e con il Terzo Settore, al fine di garantire una programmazione realmente condivisa, efficace e coerente con la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
La FISH ribadisce che la disabilità non è una questione settoriale, ma un tema trasversale che riguarda l’equità, la crescita e la coesione sociale del Paese. Le politiche di bilancio devono dunque abbandonare la logica emergenziale o assistenzialistica, per investire in modo strutturale in autonomia, partecipazione e pari opportunità.
“Non chiediamo interventi episodici, ma una visione di lungo periodo che consideri le persone con disabilità e le famiglie come soggetti attivi di co-progettazione e corresponsabilità nelle politiche pubbliche. È questa la condizione per un welfare davvero inclusivo, sostenibile e generativo”, conclude Vincenzo Falabella.
Coppie civili escluse dai permessi 104 in carcere: la denuncia di Arcigay
Un doppio standard – Arcigay esprime preoccupazione in merito a una circolare del Dipartimento penitenziario che escluderebbe le coppie unite civilmente dal diritto ai permessi 104 per l’assistenza ai familiari. Secondo il segretario generale dell’associazione, Gabriele Piazzoni, si utilizzano cavilli formali per negare i diritti. “E’ inaccettabile, chiediamo l’intervento immediato del Ministro Nordio”.
“Apprendiamo con sconcerto che il DAP utilizza cavilli formali per negare diritti fondamentali al personale unito civilmente”, dichiara Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay. Che prosegue: “Questa decisione è discriminatoria e contrasta palesemente con i principi costituzionali di uguaglianza. Mentre l’INPS, già nel 2022, aveva chiarito l’estensione dei benefici alle unioni civili, il Dipartimento Penitenziario sceglie una interpretazione restrittiva che crea cittadini di serie A e di serie B. La pubblica amministrazione dovrebbe essere garante di uguaglianza, non amplificatore di discriminazioni – prosegue Piazzoni. – Chiediamo al Ministro della Giustizia Nordio di intervenire immediatamente per ristabilire la legalità e garantire che nessun lavoratore o lavoratrice sia discriminato in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere o alla forma della propria unione affettiva”.
Società
Servono nuove regole – Sui social dei genitori influencer i figli minori appaiono in 1 contenuto organico su 2 e in 1 sponsorizzato su 4. Ascoltiamo Flavia Brevi di Terre des Homme Italia
La riflessione nasce dalla ricerca “Protagonisti consapevoli? La tutela dei minorenni nell’era dei family influencer”, svolta da Terre des Hommes Italia insieme a Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) e ALMED (Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con il supporto dell’avvocata Marisa Marraffino, esperta di diritto dei media digitali e la partnership tecnica di Not Just Analytics.
Dalla ricerca quali-quantitativa, che analizza 20 profili di family influencer e 1334 contenuti social per capire come sono mostrati figlie e figlie, emerge che i/le minori appaiono in 1 contenuto organico su 2 e in 1 sponsorizzato su 4. In un terzo circa dei contenuti pubblicitari, i bambini e le bambine risultano essere parte attiva dell’advertising: ad esempio scartano il prodotto, lo presentano, lanciano la promozione. Nella maggior parte dei contenuti in cui appaiono minori, inoltre, non sono adottate forme di tutela della privacy per i più piccoli, ad esempio riprese di spalle, immagini pixellate o l’aggiunta di emoticon sul viso. Nei contenuti organici tali forme di tutela appaiono nel 7% dei contenuti; la percentuale si abbassa al 2% se si considerano i contenuti pubblicitari. Nel 29% dei contenuti si riscontrano situazioni potenzialmente problematiche rispetto alla privacy: nel 21% dei casi sono mostrati momenti intimi come il bagnetto, il cambio del pannolino, la nanna; nel 6% dei contenuti il minore è coinvolto in trend o challenge; nel’1% dei casi il minore è colto in un momento critico (rabbia, tristezza, difficoltà).
Assegno di cura ripristinato: Aisla revoca la manifestazione a Potenza
Aisla ha revocato la manifestazione prevista per oggi a Potenza dopo un confronto con la Regione Basilicata: l’assegno di cura verrà ripristinato. Ascoltiamo la segretaria nazionale Pina Esposito.
Nasce Justice Fleet: 13 ong unite dopo il rinnovo del memorandum Italia-Libia
Dopo anni di crescenti violazioni dei diritti umani da parte della cosiddetta Guardia costiera libica e dopo il rinnovo del memorandum Italia-Libia, 13 ong tra cui Sea Watch e Mediterranea Saving Humans si uniscono in una nuova alleanza, la Justice Fleet, e sospendono le comunicazioni operative con il Centro congiunto di coordinamento dei soccorsi di Tripoli, in Libia.
13 organizzazioni di ricerca e soccorso nel Mediterrano centrale hanno annunciato la costituzione della Justice Fleet, supportata dal Centro europeo per i diritti costituzionali e umani e dall’organizzazione Refugees in Libya. È una risposta alla coercizione degli Stati europei a comunicare con le milizie libiche, autori di quotidiane violenze in mare e in opposizione al rinnovo tacito del Memorandum d’Intesa Italia-Libia. Le organizzazioni parte della Justice Fleet hanno deciso di interrompere le comunicazioni operative con il Centro congiunto di coordinamento dei soccorsi di Tripoli, in Libia (JRCC), a cui le costringe la Legge 15/23 nota come “decreto Piantedosi”, integrato nel decreto flussi.
Il Centro coordina gli interventi violenti di cattura e respingimento della cosiddetta Guardia costiera libica e non può essere considerato un’autorità competente. La Libia non è un luogo sicuro per le persone in fuga. Inoltre, il JRCC di Tripoli non soddisfa gli standard internazionali necessari al funzionamento di un centro per il coordinamento dei soccorsi: non è raggiungibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7, manca di capacità linguistica e non dispone di un’infrastruttura tecnica adeguata per coordinare le operazioni di soccorso.
Da 10 anni, le organizzazioni di ricerca e soccorso hanno documentato la violenza sistematica perpetrata dalla cosiddetta Guardia Costiera Libica, una rete decentralizzata di milizie armate equipaggiate e addestrate con fondi dell’UE, in particolare dall’Italia. I naufraghi vengono intercettati con la violenza in mare, rapiti e condotti in campi dove tortura, stupri e lavori forzati sono una pratica sistematica. I tribunali europei e le istituzioni delle Nazioni Unite hanno da tempo riconosciuto la violenza organizzata che, secondo gli esperti legali, costituisce un crimine contro l’umanità.
Tali violenze sono state documentate società civile negli ultimi 10 anni, e un report costantemente aggiornato sarà disponibile da oggi sul sito justice-fleet.org. L’interruzione delle comunicazioni operative con il JRCC Libia potrebbe comportare multe, detenzioni o persino la confisca dei mezzi di soccorso della Justice Fleet da parte dello Stato italiano, in violazione del diritto internazionale. Dal 2023, il governo italiano ha detenuto illegalmente mezzi di soccorso ai sensi della cosiddetta Legge Piantedosi.
Lombardia, sanità pubblica a rischio: polemica sulla delibera regionale
Fa discutere una delibera della Regione Lombardia che consente l’attivazione, all’interno delle strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale, di percorsi di accesso alle prestazioni per i clienti di fondi integrativi e assicurazioni sanitarie. Per Arci la decisione, molto grave, va nella direzione di smantellare la sanità pubblica.
Il comunicato di Arci Nazionale:
La Regione Lombardia, con la delibera di giunta n. XII/4986 del 15 settembre, ha varato un provvedimento molto grave, che va nella direzione di rafforzare il progressivo smantellamento del nostro Servizio Sanitario Nazionale, non solo della Lombardia.
La delibera, dal titolo “Determinazioni in merito alla disciplina delle prestazioni erogate da strutture ed enti pubblici del sistema socio sanitario regionale nell’ambito dell’assistenza sanitaria integrativa (fondi, mutue e assicurazioni)”, è passata sotto silenzio perché, essendo di Giunta, non è soggetta a pubblicazione, creando l’ennesimo atto di poca trasparenza verso la cittadinanza.
Il contenuto della delibera va a costruire una funzione sostitutiva dei Fondi e delle Mutue/assicurazioni, andando ben oltre la loro finalità integrativa, senza invece intervenire sulle cause che stanno determinando una crescita del ricorso della popolazione a queste forme di assistenza sanitaria integrative private.
Da molto tempo denunciamo i problemi che portano tanti cittadini, lombardi e non, a pagare le prestazioni rivolgendosi al regime di solvenza a causa del problema delle liste d’attesa.
Inoltre aumenta il numero di cittadini che abbandonano la cura a causa della loro situazione economica o per le distanze, spesso improponibili per i soggetti più fragili, tra il luogo di residenza e il luogo di somministrazione della prestazione.
Rimane inoltre il problema grave e strutturale di carenza di personale e dei carichi di lavoro sempre più elevati per quello in servizio, che diventeranno ancora più gravosi dovendo farsi carico anche delle prestazioni destinate a fondi, mutue e assicurazioni private.
Si va delineando un sistema sanitario sempre più diviso per “classi di censo”, non più universale e per tutti come riconosciuto dalla nostra Costituzione. Un sistema che si avvicina sempre di più a quello, sbagliato e discriminatorio, statunitense.
Anche alla luce dei pochi e insufficienti fondi per la Sanità pubblica previsti dalla legge di Bilancio in discussione in Parlamento, deve essere sempre più forte la voce dei partiti delle organizzazioni sindacali, associative e della cittadinanza per contrastare questa deriva.
Una deriva che fa della Lombardia un laboratorio che sarà molto probabilmente seguito dalle altre Regioni. Non dimentichiamo, infatti, che il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, si è proposto alla conferenza Stato-Regioni come il principale sostenitore di una proposta di “riforma del Servizio Sanitario Nazionale” dove il privato avrà la strada spianata, con l’esplosione delle
disuguaglianze nell’accesso alla salute.
Basilicata, fondi per la SLA bloccati, 50 famiglie lucane in difficoltà
La Basilicata non ripristina il Fondo per la sclerosi laterale amiotrofica e Aisla lancia una mobilitazione venerdì 7 novembre, a Potenza. “Non è accettabile – denuncia l’associazione – che le persone più fragili debbano scendere in piazza per vedersi riconosciuti i diritti. Da mesi più di 50 famiglie lucane vivono in un limbo di silenzio”.
“Le istituzioni parlano del diritto alla morte – dichiara Fulvia Massimelli, Presidente nazionale AISLA – ma qui c’è una comunità che sta chiedendo semplicemente di poter vivere. Chi lotta ogni giorno contro una malattia che toglie tutto non può essere lasciato indietro. La vita è il primo diritto da difendere.”
La manifestazione pacifica del 7 novembre, che si svolgerà dalle 11:00 alle 15:00 in via Vincenzo Verrastro 4, a Potenza, non è solo una protesta. È un atto di responsabilità civile, un monito morale: se lo Stato non garantisce i diritti dei cittadini fragili, è la comunità tutta a subire la sconfitta. AISLA ha informato Prefettura, Questura, ANCI Basilicata, Province di Matera e Potenza, Sindaci dei Comuni interessati, Organizzazioni Sindacali, Ordini Professionali, Forum del Terzo Settore, Università di Basilicata, Provveditorato agli Studi e Conferenza Episcopale di Basilicata.
“Saremo in piazza con Ezio e tutte le famiglie – conclude Mimmo Santomauro – per chiedere ciò che non può più essere rinviato: il ripristino immediato del Fondo SLA con risorse stabili e adeguate. La dignità non si negozia e la vita non può attendere”.
AISLA invita la cittadinanza a scendere in piazza: la mobilitazione non è solo delle persone con SLA, ma di tutti coloro che credono che diritti e dignità siano sacri e inviolabili.
Memorandum con la Libia, proroga automatica tra abusi e respingimenti
Il Memorandum tra Italia e Libia verrà prorogato automaticamente per altri tre anni. Il servizio di Giovanna Carnevale.
Il governo italiano aveva tempo fino a ieri per fermare il memorandum con la Libia che verrà dunque prorogato automaticamente per altri tre anni. L’accordo prevede il sostegno alla cosiddetta guardia costiera libica e la collaborazione nel controllo delle frontiere, ma come spiega Amnesty Italia, in questi anni si è tradotto nella detenzione arbitraria di migliaia di persone e nel respingimento forzato di oltre 158 mila persone verso la Libia, dove torture, violenze, detenzioni arbitrarie e tratta di esseri umani sono documentate da Nazioni Unite, Corte penale internazionale e organizzazioni indipendenti.




