C’è il dolore di due famiglie che non hanno nemmeno un movente. O almeno non si danno pace sul fatto che la causa di questo crimine fosse la loro felicità.
Le parole dell’assassino di Daniele De Santis e Eleonora Manta aprono una breccia su questo nostro tempo. Siamo oltre al narcisismo patologico e rancoroso di cui i social sono diventati vettore diffusione. Siamo alla normale progettazione ed esecuzione di un omicidio con tortura perché non si sopporta la serena e felice vita altrui.
Non chiamatela follia, non esiste alcuna giustificazione “di contesto” ma è solo ciò che ci circonda. È intorno a noi, in mezzo a noi. È il subumano della porta accanto, di chi condivide la stessa casa, palazzo, luogo di lavoro o di studio. È la barbarie delle relazioni umane che si è innescata come una bomba e mette in conto, citando Eduardo nelle “Voci di dentro”, “il delitto nel bilancio familiare”.
“Ho fatto una cavolata”, dice l’assassino. No, ha commesso un crimine efferato solo perché due persone erano felici e volevano vivere una vita insieme spezzata dall’odio subumano del ragazzo “educato” che salutava sempre.
Giuseppe Manzo giornale radio sociale