Una gara speciale


L’ultimo caso è quello che ha coinvolto il nigeriano Victori Osimhen attaccante del Napoli che, dopo il primo gol in maglia azzurra, ha esultato mostrando una maglia con su scritto #EndPoliceBrutality in Nigeria. All’ombra del Vesuvio continua la battaglia che si sta combattendo anche oltreoceano, nelle strade e negli impianti sportivi americani, con lo slogan #BlackLivesMatter.

La presa di posizione di Osimehn non è la prima, ma probabilmente non sarà neanche l’ultima. Cambia la destinazione, ma non cambia certamente il contenuto. La brutalità della polizia. Dall’America alla Nigeria, il succo non cambia. Probabilmente cambiano le motivazioni. Negli States, infatti, la lotta contro gli abusi di potere delle autorità parte già dagli anni ’60, quando ancora non esisteva la parità di diritti in tutto lo stato americano. Nonostante, però, negli anni si sia emendata la Costituzione non è cambiata in tutti la percezione dell’uguaglianza.

Allora il pugno al cielo con il guanto di Tommie Smith e John Carlos, emulato da Gwen Berry, la corsa senza scarpe di Abebe Bikila sono state battaglie che hanno iniziato alla protesta sportiva. Si è continuato a lottare, da soli o in gruppo. Ci hanno provato anche tutti gli sportivi di baseball, di basket, di calcio della nazione a stelle e strisce non presentandosi sul campo durante i play-off costringendo le federazioni al rinvio di massa. A pagare maggiormente, però, sono stati nel ’68 Peter Normann, sul podio delle Olimpiadi con la coccarda dell’organizzazione dei diritti dell’uomo, e dopo di lui Colin Kaepernick, che ha aperto alla strada dell’inginocchiamento durante l’inno, imitato da tanti.