Bentrovati all’ascolto del GRSWEEK da Anna Monterubbianesi
Stiamo vivendo con grande disagio l’impatto di questa nuova infezione che colpisce il Paese ed il mondo intero. L’emergenza ha bloccato la mobilità e chiuso intere zone facendo prevedere uno scenario di recessione imminente. La maggioranza degli italiani teme ripercussioni sulle attività aziendali e commerciali oltre al rischio per il proprio posto di lavoro. Per fermare il coronavirus e limitare il contagio ci viene richiesto senso di responsabilità e buonsenso. Così dal 5 marzo scuole e università sono chiuse a livello nazionale, il campionato di calcio si gioca a porte chiuse per un mese, stop a tutti gli eventi affollati. E per tutti distanza di sicurezza di un metro.
Economia, cultura, lavoro, socialità, coesione sociale sono messi a dura prova. Siamo tutti chiamati a cambiare stile di vita. Non è esente il terzo settore, sia per la sua natura, che è in primis quella di costruire solidarietà e relazioni umane, a sostegno dei cittadini, anche di quelli più fragili, sia per la sua economia. Molte realtà, associazioni, sedi e circoli si trovano costretti a limitare fortemente le proprie attività se non a chiudere, con il rischio di lasciare i cittadini più deboli indietro. Anche la cooperazione sociale è fortemente colpita dalla chiusura dei servizi come ci racconta la scheda di Giuseppe Manzo: “In Lombardia 10mila lavoratori coinvolti e 5 milioni di perdite al giorno. In Toscana coinvolti 30mila lavoratori e rischio collasso. In Emilia Romagna sono 6mila gli operatori e 5 milioni bruciati in una settimana. E ancora Friuli, Liguria, Veneto. Il coronavirus sta travolgendo la cooperazione sociale nelle regioni del Nord colpite dalle zone rosse e dal maggior numero di contagiati e vittime. Le attività a rischio non riguardano solo il lavoro ma pezzi fondamentali del welfare e delle comunità: nidi di infanzia, centri residenziali e semiresidenziali per non autosufficienti, anziani e persone con disabilità, percorsi di inserimenti lavorativo. Al governo sono arrivate 3 proposte per misure urgenti: un intervento che non crei sperequazioni fra le zone cosiddette “gialle” e quelle non identificate dai Decreti già emanati; semplificazione delle procedure per adire al Fondo integrativo salariale e incremento della capienza del Fondo; la piena copertura degli impegni economici contrattuali a fronte del fatto che le chiusure non sono imputabili alle cooperative e che gli Enti hanno già a bilancio questi costi.
La solidarietà e il lavoro quotidiano di queste realtà provano a non andare in quarantena, come stanno facendo le scuole, che nonostante molte difficoltà cercano di resistere attivando lezioni online e percorsi di formazione a distanza. O come fanno i volontari, in particolare di protezione civile, che possono rappresentare una risposta concreta di aiuto. Ma come possono operare in questo clima mantenendo anche lo loro piena sicurezza? Ascoltiamo Fabrizio Pregliasco, presidente Anpas e virologo: “Covid19, un nuovo virus, con tutte le sue paure e le sue incertezze…”
E se la solidarietà non va in quarantena, è necessario che siano attivate efficaci misure di sostegno. Il sistema sanitario nazionale è in grado di sostenere questa crisi? Lo abbiamo chiesto al professor Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute di Filadelfia e ordinario al Dipartimento biotecnologie mediche di Anatomia patologica all’Università di Siena:
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