Il ciclismo come forma di umanesimo, ovvero: in bicicletta per tornare a vivere la vita. Per l’antropologo e filosofo francese Marc Augé, scomparso lo scorso 24 luglio all’età di 87 anni, la bicicletta è icona di utopia: “Non c’è dubbio che con l’uso della bicicletta, gli esseri umani riescano a soddisfare un po’ di questo desiderio di fluidità, di leggerezza, di liquidità”, scriveva. Un modo concreto per sentirsi meno stranieri negli spazi urbani dominati sempre di più dai “non luoghi”, che ci fanno sentire fuori posto ovunque: aeroporti, supermercati, stazioni ferroviarie. La sua ricerca e il suo linguaggio hanno contribuito a far comprendere a un pubblico diffuso come un antropologo possa essere un prezioso punto di osservazione di un mondo che ha molto a che fare con la quotidianità e quindi, un po’ a sorpresa, anche con il movimento e lo sport. Nicola Porro, sociologo dello sport, ricostruisce le radici di questo interesse
Porro specifica che la surmodernitè, termine coniato da Augè per descrivere l’epoca contemporanea, si caratterizza per un curioso contrasto tra la grande quantità di innovazioni nella comunicazione, che ci mantengono in uno stato di continua connessione e ci aprono infinite possibilità di collegamento con gli altri e l’attuale condizione umana di profonda solitudine, molto più grande rispetto a quella delle generazioni che ci hanno preceduto. Sentiamo ancora Nicola Porro
Nel 2008 Augé scrive “Eloge de la bicyclette”, pubblicato in Italia nel 2009 da Bollati Boringhieri come “Il bello della bicicletta”, in cui presenta la bici come uno strumento sociale, che aiuta a rapportarsi “con gli altri e con il territorio”, riscoprendo e ridisegnando le dimensioni di spazio e tempo: poiché ci vuole tempo per spostarsi, obbliga a riscoprire la consistenza del tempo”. Lo storico dello sport Sergio Giuntini, presenta il testo.
Nel saggio Marc Augè descrive come la bicicletta sia “mitica, epica e utopica”. Sergio Giuntini esplicita ai nostri microfoni questi concetti