Razzismo nello sport: minimizzare è complicità

 

Bentrovati all’ascolto del GrsWeek, in studio Elena Fiorani. In una sola giornata di Serie B, domenica 12 gennaio, il calcio italiano è tornato a fare i conti con il razzismo: durante la partita tra Reggiana e Bari il match è stato sospeso per 7 minuti a causa di insulti razzisti rivolti al giocatore algerino Mehdi Dorval, che ha ricevuto il sostegno dei suoi compagni e poi sui social ha condannato l’accaduto ribadendo l’urgenza di eliminare il razzismo dallo sport. Poche ore dopo, durante Brescia-Sampdoria, Ebenezer Akinsanmiro, blucerchiato classe, è stato preso di mira da insulti razzisti, ululati ed epiteti vari da parte dei tifosi avversari. Dopo aver segnato il calciatore ha risposto mimando il gesto della scimmia verso gli spalti, gesto che gli è costato un’ammonizione perché l’arbitro non aveva capito che era stato bersagliato per tutto il tempo e che quella era una reazione emotiva.

L’allenatore del Brescia, Pierpaolo Bisoli, ha commentato la reazione del calciatore definendola una forma di istigazione alla violenza, sentiamo il commento del sociologo Davide Valeri:

“Credo che questo tipo di risposta sia la conferma di cosa non dobbiamo fare per contrastare il razzismo e le varie forme di discriminazioni che attanagliano lo sport – commenta il sociologo Davide Valeri – cioè condannare le vittime, non riconoscere la gravità del razzismo e derubricarlo in fatto di sport: il razzismo va condannato senza se e senza ma, solo così potremo andare verso una società in grado contrastare tutte le forme discriminatorie che permetta alle persone che subiscono atti di razzismo di denunciare in maniera aperta, senza sentirsi in colpa”.

Sensibilizzare cittadine e cittadini e mappare i casi di razzismo è quello che fa l’Ufficio Nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio, l’ente deputato a garantire la parità di trattamento per tutte le persone, a prescindere dalle loro caratteristiche personali. Mattia Peradotto, direttore Unar, ci descrive l’impegno dell’ufficio: “I recenti episodi accaduti in serie B ci raccontano che esiste ancora un problema di razzismo nel mondo dello sport e nel mondo del calcio. In questi anni abbiamo messo in campo diverse azioni per contrastare questi episodi e per favorire invece la costruzione di una cultura dell’inclusione e del rispetto. Lo abbiamo fatto con un protocollo d’Intesa con Lega Serie A e una campagna annuale che si chiama Keep racism out; lo abbiamo ha fatto e lo faremo anche con Lega Serie B e con una campagna ad hoc proprio su questi episodi appena avvenuti; continuiamo a farlo con azioni di formazione per i settori giovanili del mondo sportivo e per tutto l’ecosistema. Siamo impegnati, inoltre, in alleanza con le realtà associative del mondo sportivo tra cui l’Uisp, con cui collaboriamo da anni su progetti specifici per la mappatura dei casi di discriminazione e per il contrasto, e lo faremo ancor di più con la finalizzazione del Piano nazionale di azione di contrasto al razzismo, alla xenofobia e all’intolleranza”.

I passi sono riconoscere, registrare e stigmatizzare, come ci ricorda Paola Beretta, portavoce dell’associazione Carta di Roma, nata in applicazione di un principio deontologico che consiste nell’accuratezza e nella correttezza dell’informazione quando si parla di persone migranti e rifugiate. “In merito agli episodi razzisti che avvengono negli stadi e, più in generale negli ambienti sportivi, ci sembra necessario sollevare due ordini di questioni, uno prettamente normativo che riguarda l’applicazione di norme che peraltro già esistono in altri Paesi, con Daspo, sanzioni e interventi precisi e omogenei nel tempo, rispetto a tutti coloro presenti negli stadi e alle società sportive, che quindi hanno una responsabilità di intervento rispetto agli episodi razzisti. C’è poi un piano prettamente valoriale e giornalistico, che si riferisce alla responsabilità di chi racconta e contestualizza questi fatti, perché è fondamentale che ci sia una stigmatizzazione esplicita da parte di chi raccoglie e riproduce le informazioni nei diversi contenitori, in particolare quelli sportivi, e che non ci sia una sottovalutazione degli episodi, perché ciascun evento va contestualizzato e ricondotto nell’alveo più generale di una discriminazione di tipo razziale. Questo è fondamentale per restituire dignità alla persona che è stata bersaglio e, contemporaneamente, iscrivere quel fatto in un contesto più ampio che è quello del razzismo”.

Contro il razzismo lo sport sociale scende in campo tutti i giorni: domenica a Roma si terrà la Strantirazzismo, nell’ambito della Corsa di Miguel, organizzata dal Club atletico centrale e rivolta in particolare a ragazzi e ragazze delle scuole. Ma sono anche molti i progetti che coinvolgono tutto il Paese in campagne di informazione e sensibilizzazione, come ci ricorda Davide Valeri: “Sic-Sport integrazione e coesione: con questa iniziativa l’Uisp vuole valorizzare il ruolo sociale dello sport come strumento di inclusione e coesione – continua Valeri, responsabile scientifico del progetto – verranno quindi realizzate delle campagne di sensibilizzazione rivolte ai cittadini, alle famiglie, ai giovani e agli operatori del mondo sportivo per informarli e sensibilizzarli sul tema delle discriminazioni nello sport. Successivamente verranno offerti loro degli strumenti facilmente accessibili, come una pagina web, per riconoscere il fenomeno delle discriminazioni sia per le vittime che per i testimoni. Infine, verranno creati 17 presìdi territoriali che, oltre a promuovere l’inclusività e l’integrazione nella pratica sportiva, diventeranno dei punti di riferimento per vittime e testimoni di discriminazioni. Molta importanza avrà anche la formazione di dirigenti, tecnici e giudici sportivi della Uisp e delle società affiliate per sensibilizzarli sul fenomeno discriminatorio e sugli strumenti di protezione delle vittime. Queste sono delle pratiche concrete che possono permettere allo sport di tornare ad essere un’attività libera e priva di ogni forma di discriminazione”.