Criminali per scherzo, l’obesità non è un “perchè”

di Ivano Maiorella

Con l’aria di non aver fatto nulla di cattivo: era obeso, l’abbiamo preso in giro. Preso in giro e punito, più debole quindi punito. Che c’è di meglio, in una società di ragazzi ai margini, o annoiati, che prendersela con chi è più indifeso? C’è una ragione nella violenza che ha subito il quattordicenne nell’autolavaggio di Pianura, a Napoli?

E’ allarme sociale, la coesione sociale fai-da-te è un fallimento se la politica non interviene invece di allargare le braccia. I giornali titolano: violenza su un ragazzino “perché obeso”. Che cosa? Ci sono situazioni, come questa, nelle quali voler cercare un perché rischia – forse involontariamente – di dare una giustificazione all’insensatezza della violenza. Cieca e senza perché, sempre.

E i perché sarebbero questi? Obesi, anziani, donne, immigrati, gay?  La società e i suoi pregiudizi condannano e colpevolizzano chi è obeso e i tre balordi del branco avrebbero agito di conseguenza? E’ forse così che si scarica su qualcun altro o su tutti? Quella violenza pesa su tutti noi perché è causa ed effetto. Perché calza alla perfezione a quanto è avvenuto, una reazione smisurata a qualcosa che è comunque condannato socialmente.

No, basta. Quell’atto criminale pesa su tutti noi perché continuiamo a far finta di niente, nei confronti di tutto. Della violenza così come del pettegolezzo, del fango e del pregiudizio. Che strisciano sotterranei e diventano convenzione, socialmente tollerata. In famiglia come allo stadio, nel branco di quartiere come intorno al muretto sotto casa.

Pare che la scena di Pianura sia stata filmata. E nessuno è stato capace di fermare l’aguzzino ventiquattrenne, criminale per scherzo. In fondo, la violenza animale è stata scatenata da un “perché”, il ragazzo che l’ha subita era obeso. E poi: era uno solo uno scherzo finito male, una ragazzata.

E invece no: la violenza e l’orrore che abbiamo spesso sotto gli occhi non hanno ragioni, non possono averne. Neppure nel peggiore dei pregiudizi correnti, familiari o sociali. Speriamo che i giornali ci evitino le foto choc del povero ragazzo che in queste ore lotta per sopravvivere e che forse sì, era sovrappeso. E allora?

Non le vogliamo quelle foto. Non vogliamo i titoli che cercano di spiegare il “perché”, a caccia della diversità di circostanza. Ogni parola spesa in quella direzione appesantisce la responsabilità. Che è individuale e collettiva. Che non è fatalità, non è disgrazia. E’ solitudine marcia che scava il fossato della paura: e la politica è sempre più lontana, sguscia dalle responsabilità e ne esce pulita. Le politiche sociali, quelle di coesione e di integrazione hanno sempre meno attenzione e meno risorse. Sono diventate politiche-fai-da-te, se crescono le tensioni ci sarà sempre un qualche pezzo di terzo settore e di volontariato disposto a fare qualcosa, senza costi per il bilancio dello stato.

E allora ci guardiamo intorno e ci ritroviamo da soli. Quante volte non interveniamo di fronte alla violenza che ci cresce accanto? Quante volte non alziamo un dito di fronte al cinismo degli adolescenti? Che hanno perso la loro partita e cercano chi è più disgraziato di loro? Lo prendono di mira pur di dimostrare a se stessi che, in fondo non fanno nulla di cattivo. Esecutori di convenzioni sociali malate. Senza perché.