Il giorno più triste

di Ivano Maiorella

E’ passato un altro giorno triste, quello di un’altra strage di bambini a Gaza. Sette o forse nove, in un parco giochi nel campo profughi di Shati, a nord di Gaza. E la diplomazia è in stallo. Sembra di rivivere quel tragico 28 luglio di cento anni fa, lo scoppio della prima Guerra mondiale, 70 milioni di morti in quattro anni di conflitto.

28 luglio, un giorno triste. Tutto passa in second’ordine di fronte a quello che sta succedendo in Medio Oriente. L’Europa zitta, gli Usa hanno balbettato qualcosa e subito dopo hanno fatto marcia indietro, l’Egitto fermo, Qatar e Turchia guardinghi. I morti sono diventati mille, il rapporto con il numero di bambini uccisi non ha pari, uno su quattro.

28 luglio, pesano tristezza e guerra. Più delle idiozie razziste del futuro presidente della Federcalcio, terza industria del Paese (e anche qui colpisce il silenzio del vertice, del capo dello sport italiano). Più dei numeri della crisi e della difesa strenua del lavoro da parte degli operai della raffineria di Gela. Più delle notizie di profughi in fuga da Siria e Libia. Più di tutto pesa il lutto e l’impotenza. E il silenzio di chi dovrebbe fare qualcosa e non fa.

Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon è tornato a chiedere un cessate il fuoco immediato dopo che nella notte il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha adottato una dichiarazione unanime per uno stop alle armi a Gaza. Senza condizioni.

Per Netanyahu la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu della notte scorsa ”non tiene conto della sicurezza di Israele”. E la strage prosegue.