Mai più ultimi

di Ivano Maiorella

“Mai più ultimi nella cooperazione internazionale”: ha detto proprio così il premier Renzi chiudendo la Festa del Pd a Milano. Un concetto che aveva anticipato giorni fa al Corriere della Sera e che il ministro degli esteri Gentiloni aveva ribadito, intervistato dall’Espresso: “A cominciare dalla prossima legge di stabilità dobbiamo recuperare, sia pure gradualmente, un ruolo importante nel campo della cooperazione. Che non è più esclusivamente solidarietà e assistenza ma serve anche a ridurre le cause dei fenomeni migratori”. Non solo, aggiunge il ministro: “Serve anche a creare le basi di rapporti economici strategici per il futuro dell’Italia”. E forse anche a guadagnare un seggio all’Onu, al quale il governo italiano aspira. Lo fa legittimamente se alle promesse seguiranno i fatti e le idee: più cooperazione significa più umanità e più dignità, senza se e senza ma.

Mai più ultimi in libertà e democrazia. Lo giurarono i padri della della Repubblica, l’8 settembre di 72 anni fa, era il 1943. L’armata italiana si era sciolta, tutti a casa in ventiquattr’ore, re e vertci militari in fuga, un milione di persone con addosso una divisa che non valeva più niente. Gente sparsa in Italia e sui fronti dei paesi occupati, dall’Albania, alla Jugoslavia alla Grecia, sbandati, profughi, prigionieri, bersagli. Il presidente Ciampi definì così l’8 settembre: moriva una certa idea di patria fascista e ne nasce un’altra, democratica. Venne costituito il Comitato di Liberazione Nazionale e iniziarono venti mesi di Resistenza. E iniziarono le rappresaglie nazifasciste, come quella di Cravasco, vicino Genova, dove il 22 marzo 1945 furono fucilati 18 partigiani, alcuni giovanissimi altri professionisti e padri di famiglia. Uno di loro, Arrigo Diodati, sopravvisse miracolosamente e successivamente diede vita a numerose esperienze associative per la cultura, l’escursionismo e lo sport. Pubblichiamo la foto dell’eccidio di Crevasco: vi ricorda niente questa immagine di morti ammassati l’uno sull’altro?

Mai più ultimi ad indicare strade per uscire senza ipocrisie dalla strage dei migranti. Questo chiedono le organizzazioni sociali e il volontariato al governo italiano. C’è il problema dei richiedenti asilo e dei profughi siriani e delle altre guerre. Ma c’è anche il problema epocale di chi fugge dalla miseria e preme ai confini chiedendo dignità e umanità. L’11 settembre a Venezia la marcia delle donne e degli uomini scalzi chiederà corridoi umanitari: pensiamo sia un’iniziativa importante promossa da vari settori di società civile, artisti, gente di cinema e gente comune.

I flussi di migrazioni funzionano così, genti premono su altre genti e avviene lo spostamento. L’Italia è tornata ad essere paese di migranti con decine di migliaia di giovani connazionali che, ad esempio, hanno scelto Londra e la Gran Bretagna. Allo stesso tempo l’Italia continua ad essere terra di immigrazione e di passaggio. A che cosa servono i confini? A stabilire dove finiscono le responsabilità amministrative di uno stato e incominciano quelle di un altro. Il confine, il limes, non può essere figlio di un’idea difensiva ma è il prodotto di un’idea amministrativa. è un’idea difensiva. Anzi Roma antica incominciò a costruire alte mura difensive quando era al tramonto, quando era debole, non quando era forte. I Romani erano insuperabili nel costruire opere architettoniche come ponti, strade, fognature e acquedotti. Non mura difensive: la costruzione delle ciclopiche mura aureliane segna l’inizio della decadenza, era il terzo secolo d.C. E servirono solo a ritardare, non a fermare i successivi sacchi della città. “Restiamo umani”, terminava così i suoi articoli il cooperante e attivista italiano Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza nell’aprile del 2011.

Ps: dedicato agli sforzi del governo italiano per non restare ultimi nella cooperazione, nelle politiche internazionali e nelle scelte sui migranti, in tema di libertà e democrazia. E, restiamo umani, please.