Qualche parola per restare umani

di Ivano Maiorella

Questione di giorni e di ore, il racconto della realtà sembra essere vecchio un attimo dopo essere scritto. La turborealtà impedisce l’approfondimento e costringe alla superficialità, all’approssimazione. Proviamo a non rassegnarci a questa condanna, anche se è sempre più difficile agganciare realtà virtuale a vita quotidiana. Proviamoci, ognuno come può: ascoltare, conoscere, comunicare, partecipare. Una proposta: incominciamo dal linguaggio, usiamo le parole come torce per procedere nel buio. Ognuno di noi redattori del Grs ve ne propone una. Proprio adesso, nel pieno di un’estate di piombo accecante. Con una premessa, una tavola fuoritesto: di fronte alla violenza, al terrorismo, ai naufragi di migranti e alla tensione internazionale che è possibile leggere ovunque, nel marciapiede di fronte e nella rete, non chiamiamo in casa lo “squilibrato” di comodo.

 

Non liquidiamo pilatescamente il senso che si sta perdendo, cerchiamo di risalire la corrente e non scambiamo gli effetti con le cause. E’ una guerra o no? Cambia poco, ogni vita spezzata – o autointerrotta – è guerra contro il genere umano. Per questo le parole sono importanti, il loro significato aiuta a rimettere i piedi per terra e a ragionare.  Così nasce questo editoriale scritto a più mani dai redattori del Grs, frutto della riunione di redazione prima dell’estate (martedi 27 luglio) e del video che vedete qui a fianco (montaggio di Francesca Spanò), per provare a collegare parole e immagini.

 

Ripopolare, ho scelto questa parola. Tornare ad abitare luoghi abbandonati che si stanno desertificando. Abitare citta, periferie, campagne senza paura di sentirsi spaesati. Abitare la politica, senza sentirsi respinti. Abitare i beni comuni partecipando alla loro cura, alle scelte, sentendoli propri. consapevolmente, col desiderio e il diritto di conoscere, abitare l’informazione e la libertà di espressione, ripopolando il dialogo e i legami sociali, la solidarietà dell’agire.  Ascoltare se si vuole essere ascoltari. L’ho sentito dire a don Panizza a Lamezia Terme in un incontro sulla comunicazione sociale. E il mutuo ascolto e’ la base del giornalismo, soprattutto radiofonico.

 

Povertà, la parola da mettere in primo piano nel Paese: sono 4 milioni gli italiani poveri e un milione sono minorenni. Povertà fa rima con Sud: qui alle mie spalle il Vesuvio e Napoli, capitale di quel Mezzogiorno povero da cui bisogna ripartire per il benessere di tutti (di Giuseppe Manzo).

 

Riforme. Dal giorno della sua nomina il Presidente del Consiglio ha promesso un piano di Riforme per modificare l’assetto politico, istituzionale e costituzionale del Paese: tra queste, quella del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione, del terzo settore e la tanto discussa riforma costituzionale, il cui referendum ad ottobre segnerà l’ago della bilancia che decreterà il destino del governo e dell’intero Paese. Attesa, traguardo storico o nuova delusione? (di Anna Monterubbianesi)

 

Alberi, gli alberi delle navi che attraversano il mediterraneo. Solo nel 2016 249.801 migranti in fuga sono approdati in europa alla ricerca di nuove radici. Oltre 3 mila hanno invece trovato la morte e l’europa resta a guardare (di Clara Capponi)

 

Gioco è formazione, civiltà, futuro. Da quello dei bambini nei cortili delle nostre città a quello nei campi profughi ai confini con le guerre dei nostri giorni. Dai riflettori di Rio de Janeiro accesi sul mondo ai parchi delle periferie urbane. Giochiamo per comunicare, imparare e immaginare: nel gioco disegniamo una società aperta, accogliente e libera. Le regole sono i diritti di cittadinanza, da rivendicare e difendere insieme (di Elena Fiorani).

 

Buonsenso. Una parola semplice, ma anche una regola che bisognerebbe darsi nell’affrontare i drammi del nostro tempo: dalla crisi economica, ai diritti negati, al terrorismo.  Una parola per non dividersi tra “razzisti” vs “buonisti”: perché di mezzo c’è la vita reale delle persone, ci sono i drammi di chi fugge dalla guerra, ma anche di chi è costretto a vivere su una panchina abbandonato dallo Stato, di tutti coloro che si sentono discriminati o subiscono violenze. Potrebbe bastare il buonsenso per trovare soluzioni in grado di offrire diritti e dignità a tutti. Buonsenso è una parola quasi scontata, ma talmente tanto che ce ne siamo colpevolmente dimenticati (di Giordano Sottosanti).

 

Umanità, intesa come restare umani, come non arrendersi all’orrore degli eventi, alla paura che genera violenza, alla spersonalizzazione delle relazioni sociali. Ad ogni passo, ricordarsi di essere esseri umani (di Giovanna Carnevale).     

 

L’incuranza è quella cosa che ti fa star male quando ti accorgi che ormai in tutte le cose è diventata l’abitudine. L’abitudine a non curare l’altro, quello che si trova buttato su un marciapiede privo di sensi, l’incuranza verso chi vede i propri diritti calpestati, verso chi viene ingoiato perché ultimo degli ultimi. L’incuranza verso la storia, la nostra storia, fatta non solo di libri ma di monumenti, grandi e piccoli, anch’essi vittime di incuranza. L’incuranza di chi utilizza come scenografia di un concerto uno dei luoghi più belli al mondo: il Foro Romano. Sono tanti i tesori di inestimabile valore abbandonati all’incuria dei potenti perché con la “cultura non si mangia mica”. L’incuranza verso l’ambiente che ci circonda sempre più spesso discarica a cielo aperto. L’incuranza diventa regola, codice comportamentale, diventa scempio e vergogna. (di Pietro Briganò)