Uno spettacolo preoccupante, indegno, quasi psicotico. Questo emerge dalle reazioni del nostro Paese dopo la liberazione di Silvia Romano, la cooperante volontaria italiana rapita in Kenya e liberata un anno e mezzo dopo.
Ad un tratto il Covid è già dimenticato. Il circo mediatico nel suo tradizionale assembramento affolla casa di Silvia tra spintoni e telecamere mentre sui social sfila il moralismo della bestia italica.
La sua liberazione ci racconta lo stato grave della salute mentale, soprattutto dopo la quarantena per il Covid-19: un peggioramento visibile che ha allarmato anche l’Organizzazione mondiale della sanità.
Da una parte ex ministri, partiti che avanzano 49 milioni di soldi pubblici e media sovranisti hanno acceso la miccia contro la ragazza sorridente e convertita all’Islam. A seguire un vero e proprio hub dell’idiozia e della psicopatia galoppante in cui versano molti italiani: commenti sessisti, tweet trucidi e post che trasudano la disperazione di chi vede nelle vite degli altri la proiezione della propria fallimentare, mediocre, corrotta.
A sinistra va in scena l’enfatizzazione della giovane come “partigiana”, tentativi di psicanalizzare la sua sofferenza e la sua conversione buoni a creare l’eroina simbolo anti-leghismo abbandonando la capacità e il buon senso di un’analisi più attenta a ciò che ha potuto passare questa ragazza nelle mani dei rapitori.
L’augurio, ora, è che Silvia possa stare con la sua famiglia mentre il circo mediatico-politico si ritira dopo il lauto pasto sbranando la vita di chi è stata rilasciata dopo un anno e mezzo nelle mani di un gruppo terrorista in Kenya. Una ragazza di 25 anni.
Giuseppe Manzo giornale radio sociale