Perché la detenzione di Zaki parla a tutti noi


 

Tremila studenti, decine di scuole, una maratona musicale. Questi sono alcuni numeri della mobilitazione di ieri per Patrik Zaki lanciata da Amnesty Italia.

L’8 febbraio è stato un anno esatto dal giorno in cui l’attivista e ricercatore egiziano del Master Gemma dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, dopo diverse ore di sparizione forzata, comparve di fronte alla procura della città di Mansoura per la convalida dell’arresto, dopo essere stato fermato il giorno prima all’aeroporto del Cairo, appena atterrato con un volo proveniente dall’Italia.

Zaki rischia tuttora fino a 25 anni di carcere per le accuse di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a manifestazione illegale, sovversione, diffusione di notizie false e propaganda per il terrorismo, basate su una serie di post pubblicati da un account Facebook che la sua difesa considera falsi.

Amnesty lo considera un prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media. La detenzione preventiva cui è sottoposto da un anno Patrick Zaki non ha alcun fondamento giuridico: non vi è pericolo di fuga, né di reiterazione dei “reati” né di inquinamento delle “prove”.

In tempi di pandemia e di grandi interrogativi sui diritti individuali la vicenda di Zaki parla a tutti di un presente e un prossimo futuro dove la libertà di pensiero non è affatto scontata.

Giuseppe Manzo giornale radio sociale