“Si perdono posti di lavoro”. “Sprechiamo le risorse in casa nostra”. “Non possiamo perdere le risorse energetiche”. In queste settimane i fautori dell’astensione hanno ripetuto in maniera ossessiva questi aspetti economici legati al referendum delle trivelle del 17 aprile. Si tratta di una banalizzazione dell’economia ridotta al novecentesco dualismo ambiente-lavoro. Non si considerano interi settori produttivi e imprenditoriali legati alla salvaguardia del territorio e allo sviluppo. Si è taciuto sui dati di un’economia depressa, soprattutto al Sud e in tutte quelle aree dove grandi opere di assett privati prelevano risorse e non lasciano alcuna eredità di sviluppo. E ancora c’è un problema di democrazia sulle decisioni che impongono opere pubbliche e private mentre la magistratura sta spiegando le modalità criminali che devastano intere zone attraverso lo smaltimento illegale di rifiuti tossici.
Quelle imprese che dicono Sì
“Siamo produttori di energia” – ha detto il presidente di Assorinnovabili Agostino Re Rebaudengo – “ci occupiamo di idroelettrico, fotovoltaico e biomasse. Abbiamo aderito al SI perché non approviamo l’automatica estensione illimitata delle concessioni per le aziende petrolifere”. Ha poi aggiunto: “La seconda ragione è che l’indicazione di voto è anche una scelta di sostenibilità per il nostro futuro. Riteniamo sia più giusto sviluppare sorgenti rinnovabili: per questo mi auguro che si raggiungerà il 50 per cento”.
“Ci auguriamo un mare di SI perchè la pesca è sul banco dei danneggiati”, ha dichiarato Raffaella de Rosa, Alleanza Coop Italiane Pesca. “Le trivelle sottraggono spazio ai pescatori, danneggiano i fondali, le onde d’urto allontanano gli stock e impediscono la riproduzione”. E parlando del settore ha precisato: “È un danno per le risorse ittiche e per la pesca che conta 100 mila occupati e 300 milioni fatturato all’anno. La pesca viene sottoposta a rigido controllo, mentre alle piattaforme petrolifere non è chiesta neanche la Vas, la valutazione ambientale strategica preventiva e questo non è accettabile”.
“Mare, coste e turismo sono il vero patrimonio dell’Italia”: a parlare è Tullio Galli, di Assoturismo. “Immaginate se ci fosse una fuoruscita di petrolio in mare. Solo in Emila Romagna ci sono 15mila imprese che operano nel turismo e 50mila addetti” e ha concluso incalzando “Fermare le trivelle è una battaglia civile da vincere a tutti i costi”.
Tra le forze produttive che hanno partecipato anche la CIA -Confederazione italiana agricoltori: “Abbiamo aderito al SI anche perché va nella direzione di quello che dice l’Unione Europea”, ha detto Alessandro Mastrocinque. “Da sempre noi siamo per le rinnovabili anche perché le tecniche di estrazione inquinano le nostre produzioni e arrivano sulle nostre tavole e i prodotti della terra coltivati dove c’erano le trivelle non li vuole più nessuno. Il nostro è un invito a votare SI e a cambiare politica energetica”.
“Tutti i paesi del mondo hanno affermato a Parigi la grande emergenza dettata dai cambiamenti climatici e l’importanza di tenere le temperature sotto il grado e mezzo” ha spiegatoAndrea Masullo di GreenAccord, un’associazione che si occupa della formazione di 150 giornalisti su tematiche ambientali, ricordando che “Entro il 2030 dobbiamo provvedere a una riduzione del 40 per cento delle emissioni. Il punto è che l’ Italia non ha un piano energetico: che ne sarà, ad esempio, dei lavoratori dell’Eni? La vera scelta è tra passato e futuro. L’Italia è al diciottesimo posto in Europa per modernità e innovazione delle reti elettriche, retaggio del passato basato su fonti fossili e ostacolo per le rinnovabili”.
Ora, comunque andrà il referendum del 17 aprile la posta in gioco resta tutta aperta e, quorum o non quorum, bisogna fare presto per cambiare le regole di questo gioco. Come dire: l’economia (e la democrazia) non si trivella.