La storia di Lorena


Messicana, 24 anni, Lorena Ramìrez è l’ultramaratoneta indigena che si allena conducendo il bestiame in montagna e indossando sandali e gonna. Non ha coach né abbigliamento tecnico. Il suo segreto è la genetica: discende dalla tribù dei Raramuri, che significa piedi buoni per la corsa. La sua vita, che pare uscita da un romanzo di Garcia Marquez, ora è un documentario su Netflix.

Nata per correre. La maratoneta con i sandali, è così che la chiamano. Il suo nome è Lorena Ramìrez. E la sua storia, ora è anche un documentario su Netflix, diretto da Juan Carlos Rulfo e prodotto da Gael García Bernal, il Che dei Diari della motocicletta di Walter Salles. Ventiquattro anni, Lorena è una runner messicana dalla storia unica. Innanzi tutto è fortissima. Un’ultramaratoneta. Che corre — e vince — indossando sandali huaraches e la gonna coloratissima della sua tribù indigena. Non si è mai allenata in palestra, non ha coach, non ha abbigliamento tecnico. Il suo allenamento è badare al bestiame di famiglia.
Lorena appartiene alla comunità di Tarahumara, nello stato di Chihuahua, nel nord del Messico. Vive sui monti, a Ciénaga de Noragachi, con i genitori e i fratelli, in un’umile casetta in mezzo ai prati. Dove si prendeva cura degli animali. E cuce i propri abiti. Il suo segreto è la genetica: discende dalla tribù dei Raramuri, che significa piedi buoni per la corsa. Ha iniziato a diventare celebre in tutto il Sudamerica quando nel settembre di due anni fa si è presentata alle iscrizioni dell’ultratrail di Cerro Rojo dopo aver percorso un lunghissimo viaggio fra corriere sgangherate, autostop e lunghi tratti a piedi. Due giorni. Solo per presentarsi alla partenza. Aveva un fazzoletto in testa, una maglietta, gonna e sandali. Costruiti da lei stessa. Riciclando vecchi copertoni. Non era solo folklore, come pensavano gli altri runner. Lorena quella gara l’ha vinta. In 7 ore e 3 minuti, ricevendo un premio di 6000 pesos, circa 300 euro. Niente barrette o integratori, solo una bottiglietta di acqua naturale con dentro mais e farina. “Non ho segreti — la sua risposta a chi gli chiedeva come avesse fatto a mettersi dietro un mucchio di professionisti —. Tutti i giorni corro 10 o 15 chilometri portando il gregge al pascolo in montagna”.