La fine del boss
Anche il mondo del terzo settore plaude per l’arresto di Matteo Messina Denaro. La cattura del boss di Cosa Nostra, arrestato ieri dai carabinieri del Ros dopo 30 anni di latitanza, è senza dubbio un fatto storico per il nostro Paese. L’inizio di una nuova fase del contrasto alla mafia in Italia, esattamente 30 anni dopo l’arresto di Totò Riina che fu catturato il 15 gennaio del 1993 (anche lui a Palermo). Secondo Acli “la fine della lunga latitanza di Matteo Messina Denaro è indubbiamente una vittoria per lo Stato che corona un lungo lavoro investigativo e che toglie dalla circolazione un criminale pluricondannato, uno degli ultimi boss della mafia corleonese”. Allo stesso tempo l’associazione ricorda che “la vittoria con le armi della giustizia e del codice penale della mafia è solo parziale finché non viene completata dalla capillare diffusione della cultura della legalità nelle menti e nelle coscienze di tutti i cittadini, a partire da quelli che vivono nelle zone a più alta densità mafiosa”.
La chiave di lettura può essere dunque molteplice: festeggiare un evento che segna un punto a favore dello Stato, raccontare il valore di questo arresto, ricordare che la battaglia non è finita. Lungo questa prospettiva è diretto il messaggio di Arci, che con un post su Facebook spiega come la cattura del boss non significhi che la mafia è sconfitta, “ma che pezzo dopo pezzo si può sconfiggere. Il percorso dell’antimafia sociale deve proseguire ogni giorno perché le mafie hanno un impatto nella nostra realtà quotidiana e la lotta alle mafie è una scelta politica molto precisa, un tesoro sterminato che può portare trasparenza all’Italia che vuole cambiare”. L’associazione si sofferma anche sulla figura di Matteo Messina Denaro, “ultimo erede dello schieramento corleonese, ha rappresentato il ponte fra due generazioni mafiose: l’erede di una vecchia cultura mafiosa, ma con un concetto della vita più moderno che si muoveva con strumenti diversi e una dimensione più ampia”. Era in cima alla lista dei ricercati, di lui non esisteva nemmeno una foto segnaletica o le sue impronte digitali. Era stato condannato anche per le stragi del ’92 e collegato alla stagione del terrore del ’93. Protetto nella sua terra da una fitta rete di connivenze, è stato arrestato nei dintorni di una clinica privata “La Maddalena”, a pochi metri dal palazzo della DIA.
di Pierluigi Lantieri