Il 19 luglio del 1992 veniva ucciso il giudice Paolo Borsellino e i componenti della sua scorta nell’attentato di via d’Amelio. Venticinque anni dopo a che punto siamo sulla lotta alla mafia? Il servizio di Giordano Sottosanti.
Il 19 luglio 1992 il mondo intero apprendeva, attraverso le terrificanti immagini dei telegiornali italiani, dell’attentato di Via D’Amelio a Palermo, dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i membri della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina. Ma a distanza di 25 anni, quanto è grande il giro d’affari che ancora si cela dietro a padrini, cosche e affiliati? Mentre in questi giorni la politica si divide sulla proposta di estendere la legge sulla confisca dei beni anche agli indiziati per corruzione, secondo la Commissione Parlamentare Antimafia il fatturato dell’organizzazione criminale nel nostro Paese ammonta a 150 miliardi di euro all’anno. I beni immobili confiscati nel 2016 sono invece 1098, dopo il record di 1731 registrato nel 2015, per un valore stimato in 25 miliardi di euro. Lo scorso 15 luglio il Senato ha approvato il nuovo Decreto Antimafia, che adesso è pronto a tornare alla Camera per la terza lettura. Bisogna fare bene e fare presto, perché oggi la mafia non sarà più quella delle grandi stragi di fine secolo, ma è sempre quella che minaccia ed estorce il pizzo al commerciante sotto casa o che specula su chi ha più bisogno: dal disoccupato all’immigrato. È anche quella in giacca e cravatta, che sempre più spesso si annida nella burocrazia e prolifera nella corruzione. Bisogna fare bene e fare presto, per tutte quelle persone oneste che combattono ogni giorno la criminalità. Come Paolo Borsellino.