Tragedia Marmolada, Ciafani (Legambiente): “Dimostra che non c’è più tempo da perdere”


Cronaca di una tragedia annunciata. Diversi morti e feriti, un numero sconosciuto di dispersi: sulla Marmolada si prova a fare ordine tra le macerie che domenica 3 luglio sono venute giù da Punta Rocca, sulla strada per la vetta della montagna. La causa? Probabilmente quella che tutti hanno in mente, quella strillata da alcuni e negata da altri: il cambiamento climatico. Quando la valanga formata da neve e roccia ha cominciato a inghiottire tutto quello che si trovava dinanzi erano circa le 13.45 e a quota 3000 metri si raggiungevano i 10 °C. Una cifra di gran lunga superiore alla media, come del resto viene percepito in questi giorni non solo da chi si trova in zona Dolomiti, ma da tutti gli italiani.

“Quanto accaduto ieri sul ghiacciaio della Marmolada – ha dichiarato il presidente di Legambiente Stefano Ciafani – ci dimostra che non c’è più tempo da perdere”. L’eco della crisi climatica ormai risuona dappertutto, a livello del mare come sulle pendici della montagna. “Di fronte a questo scenario – prosegue Ciafani – l’Italia deve accelerare il passo sulle politiche climatiche dove è in forte ritardo, approvando al più presto l’aggiornamento del piano nazionale integrato energia e clima agli obiettivi del Repower Eu e un piano di adattamento al clima. Servono allo stesso tempo scelte energetiche coraggiose che puntino con forza e vigore sullo sviluppo delle rinnovabili, snellendo definitivamente gli iter autorizzativi dei nuovi impianti, senza continuare ad investire su gas e perdere tempo sulla realizzazione di nuove centrali nucleari”.

La siccità continua a colpire in varie forme, visibili e invisibili. A volte la natura incassa senza manifestare conseguenze immediatamente riscontrabili, in altre circostanze succede tutto il contrario. La Marmolada, in particolare, paga dazio da oltre un secolo. A rilevarlo sono i dati della Carovana dei ghiacciai, la campagna di Legambiente che insieme al Comitato Glaciologico italiano dal 2020 monitora lo stato di salute dei ghiacciai alpini: “Tra il 1905 e il 2010 (la Marmolada, ndr.) ha perso più dell’85% del suo volume. Nell’ultimo decennio si è assistito ad una accelerazione dei fenomeni della fusione glaciale. La linea di tendenza che sino al 2000 consentiva di prevedere un esaurimento nell’arco di un secolo si è successivamente modificata tanto da far presagire la scomparsa del ghiacciaio entro i prossimi 15/20 anni”.

Dando uno sguardo allo stato dell’arte delle vette italiane la situazione non è così diversa. L’ultimo monitoraggio della Carovana ha evidenziato come “tredici ghiacciai alpini, più il glacionevato del Calderone (Abruzzo) perdano superficie e spessore frammentandosi e disgregandosi in corpi glaciali più piccoli. I ghiacciai dell’Adamello hanno perso oltre il 50% della superficie totale, quelli del Gran Paradiso circa il 65%. In Alto Adige 168 ghiacciai si sono frammentati in 540 unità distinte. Il ghiacciaio orientale del Canin, in Friuli, oggi ha uno spessore medio 11.7 m, – 80 m rispetto a 150 anni fa. Il ghiacciaio del Calderone, dal 2000, si è suddiviso in due glacionevati e risponde alle oscillazioni climatiche in modo molto più veloce rispetto ai ghiacciai presenti sulle Alpi”.
Il monte-Italia vacilla, alla politica e a tutti noi il compito di metterlo in salvo.

di Pierluigi Lantieri