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Grsweek 18-19 febbraio 2017 – Europa, calcio e rifugiati

di Redazione GRS


Adeguare i regolamenti, nazionali e internazionali, alle esigenze sociali dello sport, per valorizzarne le potenzialità di integrazione e dialogo. Questo è l’obiettivo dichiarato della Rete fare (Football against racism in Europe) che, insieme a Uisp e Unar-Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali ha organizzato a Roma il convegno “Europa, calcio e rifugiati. Iniziative, regole ed esperienze di inclusione attraverso il gioco”. Raffaella Chiodo, presidente rete Fare, riassume gli obiettivi dell’incontro.

Il confronto, al quale hanno partecipato rappresentanti dell’Uefa, della Figc e dell’Aic è servito a capire se e come l’Europa e l’Italia si stanno adeguando al fenomeno, tutt’altro che temporaneo, delle migrazioni e della richiesta d’asilo di tante migliaia di persone in arrivo ogni giorno ai confini del continente. Ai nostri microfoni l’esperienza di Koffi Gbonfoun, membro dei Liberi Nantes, squadra di calcio romana formata da richiedenti asilo, che gioca in terza categoria ma fuori classifica, perché i suoi membri non sono tutti in possesso dei documenti necessari per il tesseramento.

Dall’incontro è emerso il paradosso esistente oggi nello sport, a cui si chiede di svolgere un ruolo di mediazione nei confronti di rifugiati e richiedenti asilo, mentre i regolamenti spesso lo impediscono. Ad esempio è impossibile applicare la normativa sul tesseramento dei calciatori per persone non comunitarie con permessi di soggiorno in scadenza. Inoltre per i minori non accompagnati in transito nel nostro Paese non è possibile il tesseramento perchè inevitabilmente manca la firma dei genitori. Vincenzo Manco, presidente nazionale Uisp, ha illustrato le buone pratiche già esistenti in Italia per favorire l’inclusione attraverso lo sport

Grs week 11-12 febbraio – Buona scuola? L’istruzione a un bivio

di Redazione GRS


Bentornati all’ascolto del Grs week, in studio Giovanna Carnevale. “L’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo”, diceva Nelson Mandela. Cruciale, si potrebbe aggiungere, è allora pensare bene a come lo si vuole cambiare. Perché  se è scontato che i bambini di oggi saranno gli uomini di domani, non lo è pensare a lungo termine in un’ottica culturale e porre le basi adesso  per una società futura che non contempli solo il valore della competizione e della produzione. La scuola è lo specchio di un Paese in fase embrionale. Quella italiana in questi anni sta cambiando molto velocemente. Ma come lo sta facendo? Ascoltiamo la scheda di Giordano Sottosanti.

Ma sono tanti i punti della riforma che non accontentano né gli insegnanti né gli studenti e si parla anche di “accanimento riformatore” di un’istituzione che ha sì bisogno di miglioramenti ma che tutelino il diritto alla conoscenza da un sistema sbilanciato sulla valutazione. Un esempio è l’alternanza scuola-lavoro di cui ci parla Giammarco Manfreda, coordinatore Nazionale della Rete degli Studenti Medi.

(sonoro)

E c’è poi la questione degli studenti con disabilità. Continuità didattica degli insegnanti e inclusione sono le parole d’ordine che il Governo dovrebbe avere per realizzare davvero una buona scuola. Ma per il mondo associativo non si sta andando in questa direzione e il perché ce lo spiega Vincenzo Falabella, presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap.

(sonoro)

Quale scuola vorremmo che fosse vissuta dagli uomini di domani? Uno spunto potrebbe venire da una persona, Simonetta Salacone, che ha insegnato per gran parte della sua vita difendendo sempre il valore dell’integrazione. Deceduta poche settimane fa, credeva in una scuola che aiutasse bambini e adolescenti a confrontarsi con idee e culture diverse, a incontrare altre narrazioni e a non credere a certezze dogmatiche.