In vista delle Olimpiadi di Tokyo, rimandate al 2021, il Giappone resta osservato speciale per gli abusi sui giovani sportivi. Infatti, un recente report di Human Rights Watch denuncia che in questo paese sono ancora diffuse le violenze su bambini e adolescenti, come accade in molti Paesi orientali in cui l’uso della violenza è considerato parte integrante degli allenamenti dei ragazzi più promettenti.
Il 26 giugno 2020 la triatleta sudcoreana ventiduenne Choi Suk-hyeon si è tolta la vita a causa delle continue violenze fisiche, psicologiche e sessuali subite da parte del medico e dell’allenatore della sua squadra. L’ex campionessa cinese di pattinaggio artistico su ghiaccio Jessica Shuran Yu, attualmente a Singapore, dove ha iniziato la carriera da allenatrice, ha rivelato attraverso il proprio account Instagram insulti e punizioni ricevuti dal suo coach fin dall’età di 9 anni.
Questi recenti eventi testimoniano solo in parte ciò che in molti Paesi orientali rappresenta la norma, ovvero l’uso della violenza come parte integrante degli allenamenti di atleti promettenti in età infantile o adolescenziale. A sostenerlo è il rapporto di Human Rights Watch “Mi hanno picchiato così tante volte che ho perso il conto: gli abusi sugli atleti minorenni in Giappone” che, attraverso le testimonianze, dirette o tramite questionario online, di circa 800 sportivi di oltre 50 discipline, traccia un quadro inquietante.