La Scozia vota il referendum per decidere se rimanere nel Regno Unito o diventare uno stato indipendente.
Una scelta che, in un modo o nell’altro, cambierà le sorti della Gran Bretagna, ma che porta con sé temi discussi da sempre in ogni parte del mondo: autodeterminazione , identità nazionali, regionalismi, minoranze etniche, confini.
Così come quello scozzese, il dibattito sull’indipendenza della Catalogna ha raggiunto negli anni consensi sempre maggiori; il governo di Madrid si è opposto con forza all’altro referendum, quello del 9 novembre, che permetterebbe ai catalani di staccarsi dalla Spagna, ma a Barcellona si scende in piazza per rivendicare il diritto al voto.
Indipendentismo e separatismo, che tracciano nuovi confini e dividono, valorizzando le identità geografiche, a volte spinti da motivi economici ed interessi particolari, altri da precise dinamiche culturali, altre ancora da imprescindibili ragioni politiche.
Allarghiamo lo sguardo e pensiamo al Tibet, al Kurdistan, o alla delicata situazione della Crimea.
In Europa c’è il separatismo basco, quello delle Fiandre, fino alla Corsica e alla Sardegna, passando per la questione veneta e per quella padana, ultimamente a dire il vero, un po’ annacquata.
Viviamo in un mondo dai confini sempre più labili, nel quale ci spostiamo con una facilità mai vista prima, e in cui parliamo una lingua condivisa e studiata in tutte le scuole. Un mondo dalle distanze brevissime, con cui abbiamo la possibilità di essere sempre in contatto.
Da un lato ci sentiamo cittadini del mondo, dall’altro abbiamo la necessità di valorizzare le nostre differenze; dall’Europa unita all’euroscetticismo, passando per tutte le sfumature intermedie.
Passeggiando per il centro di Glasgow, qualche settimana fa, mi sono imbattuto in uno degli stand che che propagandavano il secessionismo scozzese. L’entusiasmo era a livelli alti, e i volontari che cercavano di convincere i passanti erano elettrizzati dall’opportunità del referendum.
“Lo sai cosa sta per succedere qui in Scozia? Sarà una grande rivoluzione”, mi ha detto uno dei ragazzi di Yes Scotland, con gli occhi che bruciavano di passione.
Sui volantini, il futuro della Scozia indipendente era più che mai roseo: paghe più alte e contratti più giusti per i lavoratori, più soldi nelle tasche dei cittadini, un senso di comunità più forte, più servizi pubblici, meno evasione fiscale, l’energia rinnovabile ed un nuovo sistema pensionistico.
Presto o tardi però, bisognerà fare i conti con la realtà.
Il sogno dell’indipendenza si accompagna spesso al miraggio di un’economia florida e di un benessere condiviso; insoddisfazione e disagio sociale portano con sé un reale desiderio di cambiamento da parte dei cittadini, che avvertono con forza la necessità di modificare lo status quo.
Ma la separazione dallo stato centrale, in Scozia come in molti altri paesi del mondo, non potrà da sola essere la medicina che guarisce da tutti i mali.