O il lavoro o la vita: i numeri e le cause della Great Resignation

Bentornati all’ascolto del Grs Week. In studio Giuseppe Manzo.

La “Great Resignation” è il termine coniato negli Stati Uniti per identificare il fenomeno delle dimissioni da lavoro dipendente.  Partito negli Usa nell’estate 2021 il boom di dimissioni è segnalato in diversi Paesi e sembra aver in parte coinvolto anche il mercato del lavoro italiano.

I dati del Ministero del Lavoro mostrano infatti un record del numero di dimissioni nel 2021, con un dato in costante crescita dal 2017 in poi. Un campione di lavoratori ha fornito a Swg nel sondaggio settimanale alcuni elementi a proposito di questo fenomeno. Il 15% degli occupati è insoddisfatto del proprio impiego e un ulteriore 31% non è scontento, ma nemmeno particolarmente appagato dal lavoro che sta svolgendo.

In questo quadro generale emerge come l’intenzione nel breve periodo di cambiare lavoro (ovvero chi ha già iniziato a cercare attivamente un nuovo impiego o sta considerando di farlo) coinvolga più di 1 lavoratore su 4. Un terzo di questi vorrebbe cambiare in modo drastico, passando a un settore completamente nuovo. Fra le motivazioni principali di questa scelta figura la ricerca di uno stipendio migliore, ma è diffusa anche la voglia di un lavoro meno stressante e che faciliti la conciliazione con la vita personale.

Quali sono le cause, oltre all’evento choc della pandemia? Secondo il vicepresidente nazionale delle Acli Stefano Tassinari c’è anche un altro aspetto.

 

 

Dunque, non solo la scelta di una migliore qualità della vita ma c’è anche il tema delle disuguaglianze e del lavoro che non garantisce il raggiungimento del benessere materiale. C’è anche la conseguenza della globalizzazione dell’attuale sistema economia: ce lo spiega Roberto Race, giornalista, esperto di comunicazione per le aziende e tra i fondatori del think tank Competere.

 

 

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