Al bando l’inchino, da Oppido al Giglio

di Ivano Maiorella

Che brutta parola, l’inchino. Piegarsi e girarsi dall’altra parte, la falsa coscienza affiora sempre. Che sia quello di mafia o quello del comandante Schettino, che brutta parola l’inchino. Il sindaco, i preti e i carabinieri: sembra il corteo che accompagna Bocca di Rosa in processione. E invece no. De Andrè con quel corteo faceva scandalo negli anni ’60 perché in processione si mischiava “l’amore sacro e l’amor profano”. Oggi è peggio.
L’inchino sotto l’abitazione del boss della n’drangheta, il signore di Oppido Mamertina, cinquemila anime in provincia di Reggio Calabria. Nessuno sa, nessuno ha visto: si prova a giustificare così il sindaco del paese. E i preti? Genuflessi sotto l’abitazione del boss. E la gente? E i facchini della santa? E il parroco che dice messa perché tanto che volete che sia successo. E il solito fango su chi non ci sta, un giornalista del Fatto.
Il vescovo annuncia provvedimenti da Daspo: “fermare le processioni”. Quante volte è successo e le persiane sono rimaste accostate? L’altra sera in questo paesotto qualcosa è andato storto, o forse dritta, per la prima volta. I carabinieri non si sono tolti il cappello e il maresciallo Andrea Marino ha abbandonato il corteo, di quell’assolata giornata di mercoledi 2 luglio.
Eppure qualcosa è successo, la mafia è più sola. La Madonna delle Grazie ha abbandonato il corteo pure lei, anche se la statua di gesso è rimasta lì, vittima di un silenzio e di una paura duri a morire. Proprio come la carcassa della Costa Concordia, ancora lì, monumento al silenzio e alle vittime che sono dietro al gesto servile, l’inchino. In chi cerca di difendersi e di coprire, il bisbiglio diventa ululato.