Perchè chiediamo un’Europa meno cieca

di Fabio Piccolino

Sei mesi italiani di presidenza dell’Unione Europea: un programma di lavoro, e molte buone intenzioni.
Nel suo discorso di insediamento, il presidente del Consiglio ha parlato, tra le altre cose, di una particolare attenzione verso l’Africa e il Medio Oriente, e di un’ Europa che non può rimanere cieca.
Il pensiero va immediatamente alla cronaca di questi ultimi giorni, e inevitabilmente si allarga agli ultimi anni.
Dalla Libia e dalle coste africane partone donne e uomini con le loro speranze e da noi arrivano bare: la striscia nera registra 80 morti in questa settimana, 500 dall’inizio dell’anno, stima l’Unhcr.
Se ci sposta di poco verso est si capisce che il conflitto rimane infinito e indefinito in Medio Oriente, da una parte Israele, dall’altra la Palestina.
Morti e rappresaglie, e vite umane che sembrano avere valori diversi, a seconda della prospettiva.
L’Europa cieca è muta, incapace di far sentire la propria voce, e sorda ai richiami dei popoli in fuga o in conflitto.
Prima delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, molte associazioni hanno chiesto ai candidati di occuparsi delle questioni sociali, mettendo le persone al centro.
Il semestre di presidenza italiana appare come un’altra occasione per cambiare le cose, e le voci che si levano  da più parti sembrano essere richieste di soccorso che gridano di non sprecare anche questa occasione.
Che per essere un po’ meno ciechi a volte, basta scegliere le lenti giuste.