La memoria è un atto di giustizia


 

La memoria è un atto di giustizia o è semplicemente un esercizio didattico che non trova riscontri nel presente.

Il 27 gennaio si riempie di pubblicistica per ricordare quando l’Armata rossa dell’Unione sovietica liberò il campo di  Auschwitz  e mesi prima aveva già scoperto e liberato altri campi.

Le testimonianze, le pratiche delle torture e dei crimini contro i prigionieri. Ebrei, rom, oppositori politici, persone con disabilità, comunisti, omosessuali furono deportati e uccisi in un piano di annientamento dentro un sistema produttivo che a volte viene declinato nel termine “follia”. Non era quella una pazzia ma una segregazione, prigionia e morte portati a termine in modo organizzato. Capire questo serve a riconoscere che non esistono epoche immuni da questo pericolo.

Lo ricorda Chi rom e chi no da Scampia per una comunità rom vittima allora e oggi tra le più discriminate d’Europa. Ce lo ricorda Sant’Egidio di avere “vigilanza di fronte alla crescita dell’antisemitismo e del razzismo, accompagnati spesso da atti violenti e discriminatori”. È sotto gli occhi di tutti, dall’Italia fino ai fatti di Capitol Hill, come il suprematismo e l’odio razziale siano tra noi: la memoria ha senso se si riconoscono parole e azioni di chi vuole affondare barconi di migranti, dare fuoco ai campi rom ed escludere o rinchiudere persone con disabilità.

Giuseppe Manzo giornale radio sociale