Lavoro: smart working promosso ma bisogna migliorare alcune aspetti


 

Lavoro intelligente o smart working per gli amanti degli inglesismi: come sta andando? Premesso che in questa fase parliamo di home working, del lavoro da casa.

Ce lo dice un’indagine della Cgil con la Fondazione Di Vittorio che ha diffuso i dati di un questionario compilato da 6170 persone, di cui il 66% del settore privato. L’82% ha cominciato a lavorare da casa con l’emergenza, di questi il 31,5% avrebbe desiderato farlo anche prima.

Il 94% delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno risposto al questionario sono d’accordo sul fatto che lo smart working faccia risparmiare tempi di pendolarismo casa-lavoro, consenta flessibilità nel lavoro, renda efficace il lavoro per obiettivi, permetta il bilanciamento tempi di lavoro, cura e libero, consenta di stare al passo con i cambiamenti in atto 58% (+6% uomini), riduca lo stress lavoro-correlato (55%), consente di organizzare al meglio i diversi aspetti della vita e di avere tempo per la cura della casa e dei cari e avere tempo per sè.

Dello Smart working fa paura il fatto di avere meno occasioni di confronto e di scambio con i colleghi, l’aumento dei carichi familiari (per il 71%).

Complessivamente il 60% degli intervistati vorrebbe proseguire l’esperienza anche dopo l’emergenza: da rilevare che anche tra i favorevoli e i contrari si reitera quella differenza di genere che vede le donne meno convinte e gli uomini più propensi.

Esperimento riuscito e da continuare? Probabilmente sì perché si abbattono i tempi e i disagi del pendolarismo ma vanno preservati 3 aspetti: conciliazione tempi lavoro-affetti, quando è preservata la dimensione collettiva del lavoro e la sostenibilità dell’organizzazione, dai documenti agli strumenti tecnologici. Insomma, si può fare e migliorare ancora di più.

Giuseppe Manzo giornale radio sociale