Latte e Sangue e il rap italiano

latte-e-sangueQualche tempo fa mi è capitato di leggere un articolo che parlava piuttosto male del rap italiano. In sintesi, si sosteneva che fosse poco serio, di basso livello e banale ricettacolo di scarsi contenuti, e quindi senza speranza.
Elencando i buoni motivi per confutare questa tesi, mi sono venuti in mente una serie di realtà musicali  che considero un patrimonio importante per l’intera musica italiana.
Kaos, Rancore, Ensi, Murubutu, Colle der Fomento, Francesco Paura, Brokenspeakers, Egreen, sono i primi nomi che mi vengono in mente pensando a contenuti, originalità, ricerca, valore.
Ho pensato che banalizzare una complessità multiforme significa semplicemente non conoscere il fenomeno; dopo poco però mi sono reso conto che farne una questione di qualità dei singoli artisti non è neanche il centro del problema. Il fatto è che apprezzare il rap significa entrare nelle sue logiche e nelle sue geometrie, in una estetica a sé stante  che dimostra il proprio valore in un’amalgama fatta di originalità, metrica, flusso, forma e sostanza. E forse per questo, per alcuni, è difficile da afferrare.
In ogni caso, sono convinto che il rap è una delle forme espressive più efficaci e di impatto per raccontare quello che abbiamo intorno, sempre a patto che se ne abbiano le giuste capacità: è per questo che da qualche settimana gira nelle mie cuffie “Latte e sangue”, il nuovo lavoro che mette insieme il rapper calabrese Don Diegoh e la leggenda dell’hip-hop italiano Ice One.
Il primo ha da poco trent’anni, il secondo ha trent’anni di carriera alle spalle: un connubio strano che ha dato vita ad un album che, come un libro, va letto sottolineandone i singoli capitoli.
Dentro ci sono tante anime e tanti significati: ironia, amore, rabbia, ricordi che si mescolano per dare vita a brani con una identità forte, immediatamente riconoscibile.
Flussi di coscienza e storie personali raccontano la realtà con poesia e disincanto. I testi di Diego vanno dritti come frecce: non hanno fronzoli ma riescono allo stesso tempo ad avere una bellezza malinconica frutto della grande cura nella scelta delle parole e di una tecnica metrica impeccabile. Le strumentali di Ice One sono ricche di  fascino e capaci di far convivere in armonia elementi ed epoche differenti. Scelte musicali che non seguono le mode, ma sono così determinate ed accoglienti che sono belle oggi e lo saranno ancora di più tra dieci, venti o quarant’anni.
In un costante rimando col passato attraverso un numero sterminato di citazioni, si tocca con mano una necessità  espressiva dirompente.
Ho ascoltato questo disco tante volte e nella testa mi risuona una frase di Masito, uno dei tanti ospiti dell’album: “Talmente complessi che dobbiamo inventare parole per descrivere noi stessi”. In qualche modo è la sintesi di tutto questo: il racconto di un’epoca che “Latte e sangue” inquadra da un angolatura a cui non avevamo pensato.