L’Arabia Saudita continua a scommettere sullo sportwashing: la denuncia di Amnesty


Sportwashing

Amnesty International denuncia il crescente interesse dell’Arabia Saudita nello sport, spiegando che il Paese sta investendo somme di denaro colossali in eventi sportivi e di intrattenimento per ripulire la propria immagine e presentarsi come uno Stato ‘riformista’.

Quando si parla di alcuni Paesi (in questo caso l’Arabia Saudita) e di sport, a qualcuno può venire subito in mente il Newcastle United Football Club, acquistato nel 2021 dal PIF insieme a PCP Capital Partners e RB Sports & Media. Oppure si pensa al golf, con il recentissimo accordo tra PGA Tour, DP World Tour e PIF. O, magari, il pensiero va direttamente a diritti umani e sportwashing (l’uso dello sport da parte di organizzazioni o Stati per migliorare la propria immagine), più che altro per via di quella sigla, PIF, che sta per Public Investment Fund, lo strumento di investimento sovrano dell’Arabia Saudita.

Sembra che il Paese organizzatore della Diriyah Tennis Cup – esibizione dicembrina delle cui perplessità abbiamo già scritto – abbia intenzione di allargare i propri interessi nel mondo del tennis partendo dalle ATP Next Gen Finals, il master di fine anno riservato ai migliori under 21 del mondo che lo scorso novembre si è tenuto per l’ultima volta a Milano.
 
Se le accuse di sportwashing vengono prevedibilmente negate, tra coloro che vivono con preoccupazione questa commistione c’è Reina Wehbi, attivista di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa. In un’intervista esclusiva con Ubitennis.net, Reina Wehbi illustra i problemi legati a tali eventi in un Paese già esposto a critiche da parte non solo di Amnesty, ma anche di Human Rights Watch e dell’ONU.

“Stanno investendo somme di denaro colossali in eventi sportivi e di intrattenimento per ripulire la propria immagine e presentarsi come uno Stato ‘riformista’ e ‘ progressista’” spiega Reina. “Queste dispendiose strategie di relazioni pubbliche aiutano spostano l’attenzione dalle spaventose violazioni dei diritti umani. Gli organi di governo dello sport hanno la responsabilità di impegnarsi con la dovuta diligenza per identificare e ridurre l’impatto dei diritti umani collegato ai loro eventi”.

Riguardo alla citata Diriyah Tennis Cup, vale la pena notare che l’esibizione milionaria è stata co-organizzata da RB Group di proprietà di Peter-Michael Reichel, anche membro del Board della WTA come uno dei quattro rappresentanti dei tornei, del quale ricordiamo le recenti indiscrezioni sulle possibili modifiche del calendario. Tornando invece alle Next Gen Finals, sembra che si pensi di trasformale, a partire dal 2025, in un evento combined, quindi con un parallelo torneo WTA. Se dovessero davvero partecipare le tenniste, altre questioni si solleverebbero spontaneamente.

“Quanto riportato sui diritti umani in Arabia Saudita è ben lontano dai fasti e dal fascino che il Paese sta cercando di proiettare al mondo” continua Wehbi. “Difensori dei diritti umani, attivisti per i diritti delle donne, giornalisti indipendenti, scrittori e attivisti nel Paese sono stati arbitrariamente trattenuti in custodia per il loro lavoro e hanno dovuto subire processi lunghi e ingiusti. Salma al-Shehab dell’Università di Leeds e madre di due bambini è stata condannata a 27 anni di prigione per accuse legate al terrorismo dopo un processo incredibilmente ingiusto per aver pubblicato alcuni tweet a sostegno dei diritti delle donne”.

Di tutt’altro avviso la posizione del governo saudita, che sostiene di aver fatto grandi passi avanti nel migliorare i diritti dei propri cittadini. Nel 2018 le donne possono guidare e dal 2021 viene loro permesso di vivere in modo indipendente senza il permesso degli uomini preposti alla loro custodia.

“Mentre queste riforme hanno un impatto positivo sulle donne, le autorità non hanno abolito il sistema di sorveglianza maschile, al contrario codificandolo in una legge scritta che mina alla base queste modeste conquiste” dice ancora Reina.

Un altro aspetto che desta preoccupazione riguarda i diritti delle persone LGBT e, nella sezione FAQ del sito dell’Autorità Saudita del Turismo, alla domanda se i visitatori LGBT siano benvenuti, si legge che “tutti possono tranquillamente visitare l’Arabia Saudita e non viene chiesto di rivelare dettagli personali di questo tipo”.
“Se da un lato non ci sono pene codificate per le relazioni omosessuali, sono rigidamente proibite dalla Shari’a (la legge islamica). La comunità LGBT saudita si auto-censura, le persone LGBTQ non si identificano pubblicamente come tale e lo Stato non dedica loro alcun tipo di protezione” dice Reina.

“Amnesty International non chiede a giocatori o cantanti di boicottare un evento” chiarisce Wehbi. “Tuttavia, chiediamo loro di non lasciare che l’Arabia Saudita usi la loro presenza nel Paese come uno stratagemma per le pubbliche relazioni. Facciamo un appello perché non rimangano in silenzio e usino la loro influenza e la loro fama per parlare apertamente delle vittime delle violazioni dei diritti umani ed esortino al rispetto e alla salvaguardia dei diritti umani ovunque si trovino” conclude Reina.