Blind football, l’Asd Disabili Roma 2000 presenta la squadra femminile


Blind football. L’Asd Disabili Roma 2000, impegnata da anni nella promozione e diffusione del calcio a cinque per ciechi, presenta la squadra femminile. L’associazione è l’unica in Italia ad avere una squadra in rosa che vive ancora la fase degli allenamenti individuali o semi-individuali: in primis bisogna sviluppare le abilità motorie, il coordinamento, l’equilibrio.

“È grazie a Danny se oggi sono un’allenatrice di blind football. Prima di incontrarlo, l’idea non mi aveva mai sfiorata. Nemmeno sapevo che a Roma ci fosse una società sportiva che facesse allenamenti di calcio per ciechi”. A parlare è Alma Dhesiollari: laureata in Acquacoltura e gestione della pesca nel suo Paese d’origine – la Grecia –, laureanda in Scienze motorie in Italia, è tra gli allenatori della squadra femminile di calcio a cinque dell’associazione sportiva dilettantistica Disabili Roma Calcio 2000, società capitolina nata nel 1997 inizialmente per rilanciare l’attività di calcio per non vedenti che alcuni tra i soci fondatori praticavano da anni, diventata con il tempo supporto concreto per i singoli e le famiglie nella scelta di attività sportive basate sulle reali esigenze e le attitudini individuali e non sulla prossimità o la disponibilità.

Quando, nel 2019, Sauro Cimarelli e Luca Mazza, allenatore della prima squadra maschile, hanno deciso di “metter su” anche una squadra femminile, rivolgersi ad Alma per gli allenamenti è stato naturale. “Di fatto ci alleniamo tutti insieme, perché con le ragazze siamo ancora nella fase degli allenamenti personalizzati, individuali o semi-individuali. Dobbiamo sviluppare, in primis, le abilità motorie, il coordinamento, l’equilibrio. Di tattica ci occuperemo più avanti, ma siamo sulla strada giusta: le ragazze stanno facendo enormi progressi”.

Parlare di blind football femminile, oggi, è tutt’altro che scontato: l’Asd Disabili Roma 2000 è l’unica società in Italia ad avere una squadra in rosa. La società propone attività di atletica leggera, scherma, judo, karate, arrampicata sportiva, corsi di nuoto, equitazione, ballo sportivo, spinning, showdown e trekking, ma il core business è il calcio a cinque per non vedenti. C’è la prima squadra maschile riconosciuta dalla Fispic, la Federazione italiana sport paralimpici per ipovedenti e ciechi, composta da una dozzina di atleti tra i 18 e i 60 anni (già vincitrice di due Campionati nazionali, due Supercoppe e una Coppa Italia), quattro anni fa è nata la scuola calcio, con una dozzina di ragazzini tra i 9 e i 14 anni (alcuni già passati in prima squadra) e nel 2019 è stato avviato il percorso con le ragazze. Complice la pandemia, il gruppo oscilla tra le tre e le cinque giocatrici, tutte tra i 15 e i 30 anni. A ospitare gli allenamenti è il Centro di preparazione paralimpica in via delle Tre Fontane a Roma: il mercoledì la prima squadra, il sabato la scuola calcio, la squadra femminile e le partite casalinghe della prima squadra.

“Non sono tutti ragazzi romani, anzi. C’è un ragazzo campano che per un anno ha fatto da solo il pendolare sui treni regionali Caserta-Roma e oggi è docente di lettere e ha scelto di mettere la sua passione in stand by, c’è un ragazzo francese che arriva a Roma il martedì e si trattiene fino al sabato, tutto a suo spese, e molte atleti sono marchigiane. Il nostro non è uno sport diffuso su tutto il territorio, per questo siamo diventati un po’ un punto di riferimento”, spiega Luca Mazza. Quest’anno il campionato nazionale maschile ancora non è ripartito (conta 6-7 squadre, da Crema a Lecce), mentre quello femminile non esiste: “Ci piacerebbe, quando le nostre calciatrici saranno pronte, organizzare partite con le altre squadre europee. Per ora ci avvaliamo della facoltà di inserire nelle squadre maschili una o due ragazze, il regolamento lo prevede”.

Il boom del calcio a cinque per ciechi, a livello internazionale, ha registrato un’accelerata con i Giochi di Atene 2004, quando esordì come disciplina paralimpica. È normato da un regolamento specifico: la palla è sonora e il campo ha le dimensioni di un normale campo da calcio a cinque (20 metri per 40). Lungo la linea del fallo laterale ci sono sponde alte fino a un metro e mezzo: se la palla ci sbatte sopra e rimbalza è ancora in gioco, perché la sponda fa parte del campo stesso. Esiste il calcio d’angolo, perché sulla linea di fondo non ci sono sponde. Il portiere è sempre vedente ma ha un’area ristretta all’interno della quale può muoversi: un metro laterale e due in avanti, se esce è calcio di rigore. Gli allenatori sono due: uno sta a centrocampo a guidare la fase centrale del gioco, e può parlare solo quando la palla è nel suo perimetro d’azione. L’altro allenatore sta dietro la porta avversaria e parla con gli atleti per aiutarli a fare gol, ma può farlo solo negli ultimi 13 metri. È fondamentale che le voci dei due allenatori non si sovrappongano mai: durante una partita di calcio a cinque per ciechi deve esserci silenzio assoluto – ma ai gol si può esultare – per decifrare bene le voci degli allenatori, il suono della palla e la voce dell’avversario in avvicinamento. “L’atleta che va incontro al pallone deve annunciarsi dicendo “Voi”, ripetendolo finché non toglie la palla all’avversario o entra in contatto con lui. Questo, naturalmente, per evitare scontri”, spiega Mazza. “Voi” è una formula internazionale per segnalarsi in avvicinamento. Le porte sono 3,26×2,14 metri, dunque un po’ più grandi di quelle standard, e le mascherine sugli occhi sono obbligatorie per tutti i calciatori per evitare che chi vede luci e ombre sia avvantaggiato. Si gioca su due tempi da 25 minuti e le altre regole sono quelle del calcio a cinque per normodotati.

Un ruolo cruciale, nell’approccio a questo sport, è quello ricoperto dai genitori: fondamentali per i più piccoli, sono chiamati a grossi sacrifici anche nel caso di figli più grandi. “Sin dal primo incontro spieghiamo loro tutto e facciamo vedere una partita. Ai nostri atleti cerchiamo sempre di far fare tutto, e lo stesso chiediamo alle famiglie, perché li lascino mangiare da soli, vestirsi da soli. Suggeriamo di lasciarli il più liberi possibile, per favorire una sempre maggiore autonomia. Perché intendiamoci: il calcio per non vedenti è difficilissimo ma, quando ci si riesce, di riflesso si riescono a fare molte più cose anche nella vita di tutti i giorni. I nostri atleti cresceranno e avranno bisogno di essere indipendenti. E se non diventeranno calciatori o calciatrici, pazienza: fare sport e giocare a calcio darà loro una mano nella vita. Abbiamo in squadra atleti che, appena arrivati da noi, da soli non camminavano. Ora corrono. Liberi”.