Capolavori da remoto


Restare a casa per contrastare l’emergenza Coronavirus. È questo il messaggio unidirezionale che proviene da tutti i settori della società italiana. Almeno fino al 3 aprile (termine ultimo dei provvedimenti adottati dal governo) tutte le attività ricreative terranno le porte chiuse. A farne le spese saranno soprattutto i luoghi dell’arte e dei beni culturali, centri nevralgici per l’intrattenimento, l’economia e la creatività del Belpaese. Musei, gallerie, siti archeologici non potranno ospitare al loro interno appassionati e turisti, cancellate mostre ed eventi programmati per questo periodo. Tutto sembra essersi fermato. Riprendere sarà ancor più faticoso. Il rischio è di perdere il passo, bloccare un’intera stagione artistica e culturale.
La chiusura imposta mette l’intero settore di fronte alla necessità di ridefinire tutte le proprie modalità di contatto e comunicazione, a pensare in maniera laterale. Proprio per mantenere vivo il rapporto con cittadini e potenziali visitatori. Nei momenti di emergenza come questi emergono genio ed estrosità, tratti storicamente distintivi del popolo italiano. Mentre in questi giorni si diffonde l’hashtag #iorestoacasa per la quarantena nazionale, si moltiplicano le iniziative culturali di “resistenza”. Dagli Uffizi di Firenze al Museo etrusco di Villa Giulia – Roma, i direttori organizzano tour virtuali tra le grandi opere che in questo momento non si possono vedere fisicamente. Il Museo Egizio di Torino rompe l’isolamento sia su internet che sui social. Dal sito si possono visitare le sale ristrutturate. Mentre su Facebook il direttore Christian Greco conduce dei videotour per raccontare gli oggetti della prestigiosa collezione, promuovendo l’hashtag #LaCulturaCura. A Milano, la Pinacoteca Brera permette di ammirare da vicino i capolavori della storia dell’arte mondiale che custodisce, grazie a una campagna di digitalizzazione in altissima definizione per consentire un approccio agli originali che va oltre ciò che percepisce l’occhio umano. Così il direttore generale della Pinacoteca di Brera, James Bradburne ha lanciato la sua speciale galleria a distanza: “un museo non è soltanto composto dai suoi oggetti fissi. Le persone, in un momento come questo, non hanno bisogno di venire al museo per ammirare le opere esposte. Vi chiedete come sia possibile? Per farlo, stiamo realizzando un programma in cui tutti i nostri dipendenti mostrano ed illustrano i quadri della Pinacoteca”. Tanti altri ancora sono i siti culturali che stanno sperimentando un approccio digitale all’arte. Una condizione di necessità che potrebbe addirittura trasformarsi in una grossa opportunità. Perché se c’è uno spazio libero che ci sta lasciando il virus, è la riflessione sui sistemi operativi che governano la società, su come le varie sfere sociali possano essere ripensate. E per quanto concerne l’industria culturale una delle domande più frequenti, anche alla luce delle iniziative promosse in questi giorni, riguarda un possibile punto d’incontro tra tradizione e innovazione, tra analogico e digitale. Se oggi dirette streaming e visite virtuali sono una necessità, domani potrebbero essere una virtù. Perciò valutarne gli effetti positivi e negativi in questi giorni di sperimentazione servirebbe ad apportare un cambiamento nel modo di vivere l’arte nel futuro. Una prospettiva che offrirebbe ai luoghi della cultura inedite opportunità di crescita facilitando nuove metodi di contatto con il pubblico. Con riferimento soprattutto a quella fetta di mercato nata con la tecnologia tra le mani: ragazze e ragazzi che della nicchia di interessati ad un’esposizione artistica ne rappresentano un angolino. Occorre dunque che l’arte vada incontro ai suoi spettatori, con un occhio di riguardo ai giovani, attraverso processi di digitalizzazione. Non basta parlare di innovazione, né è sufficiente appellarsi al ruolo educativo dei luoghi della cultura. Bisogna che il patrimonio rimanga vivo e sopravviva alla rivoluzione in atto. Partendo da queste settimane di incertezza, nelle quali si assiste ad una vera e propria virtu-arte, al tempo del Coronavirus.

di Pierluigi Lantieri