Strage di reporter


La giornalista María Elena Ferral è stata assassinata in Messico: in passato aveva denunciato i legami tra narcotrafficanti e politica nello Stato di Veracruz. Il paese centroamericano è il più pericoloso per i cronisti: lo scorso anno sono stati dieci quelli uccisi e ben 108 dal 2006. Nel 99% dei casi i delitti sono rimasti impuniti.

“No se mata la verdad matando periodistas”. È questo il forte messaggio che arriva da Xalapa, siamo nel cuore dello Stato di Veracruz in Messico, dove da alcuni giorni prosegue il cordoglio per l’attentato alla giornalista María Elena Ferral. Due sicari a bordo di una moto l’hanno sorpresa mentre usciva da un ufficio notarile a Papantla, cittadina afflitta dalla guerra che i narcos combattono per il controllo dei territori. Colpita da otto proiettili, la cronista è stata portata all’ospedale regionale di “Poza Rica”, dove tuttavia è morta.

María Elena Ferral era nota per le sue inchieste volte a denunciare la corruzione della classe dirigente locale. L’infiltrazione del narcotraffico all’interno degli ambienti politici era diventato il mostro da denudare. E contro quest’ultimo, la sua arma è stata sempre la libera informazione. Da cronista ha collaborato con la testata locale di Papantla, El Diario de Xalapa, ma soprattutto dal 2016 pubblicava nel sito internet da lei creato, Quinto Poder, indiscrezioni e indagini giornalistiche sulle attività criminali e la collusione tra malaffare e agenti di polizia.

Proprio a causa di questa sua attività “fuori dagli schemi” la Ferral era stata più volte minacciata nel corso degli ultimi anni. Le autorità di Veracruz le avevano assegnato una scorta, revocata di recente. Ora sono gli stessi apparati di sicurezza che pretendono la verità. In particolare la “Fiscalía General del Estado” indaga sul caso e promette di “consegnare alla giustizia i responsabili, chiunque si tratti”. Una formula, quest’ultima, che denuncia una particolare forma di omertà tra i funzionari statali, che adesso si promette di lasciare alle spalle.

Intanto si sommano nel Paese centroamericano i casi di cronisti imbavagliati fino alla morte. Durante una delle numerose proteste in corso a Xalapa, una collega della Ferral, Verónica Huerta, ha denunciato altri 28 casi di giornalisti uccisi nel solo stato di Veracruz. Qui, poco meno di tre settimane fa, un’altra giornalista Blanca Mireya Ulloa, direttrice del quotidiano “La Opinion” è stata vittima di un orribile attacco a colpi di pugnalate mentre percorreva il tragitto verso casa. Fortunatamente è riuscita a salvarsi, ma restano le continue minacce di morte a carico della donna, per intimidirla e costringerla a cessare le sue pubblicazioni.

Di tutte queste vicende si occupa l’organizzazione internazionale “Reporter senza frontiere”, attiva in tutto il mondo per informare sui tentavi di arrestare la libertà d’informazione. Nel caso del Messico la Ong riporta che “sebbene il Paese non si trovi in uno stato di guerra (almeno ufficialmente ndr.) i media messicani risultano immersi in una grave spirale di violenza ed impunità di fronte la legge. Il Messico continua ad essere la più pericolosa nazione latino-americana per la stampa a tutti i livelli”. L’organizzazione conta anche un numero di cento cronisti uccisi dal 2006, quando il Paese ha iniziato una dura lotta per estirpare i narcos. Dieci lo scorso anno, mentre quello occorso a Maria Elena Ferral, è il primo delitto che si registra nel 2020.

Intanto questa dichiarazione di guerra alla libertà di stampa è giunto anche tra i corridoi delle diplomazie del Vecchio Continente. Infatti la delegazione dell’Unione Europea in Messico ha voluto manifestare la propria preoccupazione per la mancanza di risultati nelle indagini aperte sui casi precedenti all’uccisione della giornalista. L’organismo diplomatico ha anche ribadito il proprio appoggio a tutti gli organi di stampa che promuovono il diritto ad un’informazione libera e trasparente. Nel messaggio si legge: “l’esistenza di mezzi di comunicazione liberi e indipendenti è una condizione indispensabile per lo sviluppo e la protezione della democrazia”.

di Pierluigi Lantieri