Perché non siano solo chiacchiere e distintivo. Sulla comunicazione sociale e dintorni

Quando ero all’inizio del mio percorso umano e professionale, Raffaele Palumbio e Enrico Bianda curavano una newsletter giornaliera all’interno della Summer School del Master in Comunicazione e Media dell’Università di Firenze diretto da Giovanni Bechelloni. Ricordo di aver scritto una volta, sotto pseudonimo, un articolo che criticava i comportamenti supponenti e fintamente impegnati di alcuni partecipanti e docenti. Era, allora, accaduto un putiferio sia per conoscere chi si celasse dietro lo pseudonimo sia sul contenuto dell’articolo. Oggi senza celarmi dietro ad uno pseudonimo devo constatare che il “piccolissimo mondo antico” della comunicazione sociale ha bisogno di protagonismi, di supposte competenze e avanguardisti dell’ultima ora. Sono però molto felice che finalmente la comunicazione sociale sia al centro dell’attenzione di così tante persone che, fino a non molto tempo fa, la snobbavano oppure la usavano strumentalmente per altri fini. La speranza è che non sia much ado about nothing. Sono ancora molti i temi che meriterebbero attenzione da parte dei (ancora troppo) pochi studiosi e dei professionisti che con fatica agiscono sul campo. Ne cito soltanto due. Il primo è quello di dare una legittimazione più forte al settore proponendo, ad esempio, di dare un peso anche economico alla progettazione della comunicazione così come avviene in tanti altri settori delle attività umane. Troppo spesso in nome di una supposta capacità diffusa di conoscere la comunicazione (tutti sono bravi a comunicare!, chi pensa e progetta con difficoltà strategie complesse di comunicazione sociale non viene riconosciuto professionalmente). Il secondo tema è come entrare dentro al mainstream operando un ribaltamento di significati e stereotipi. Oltre all’adozione di conoscenze e competenze sullo storytelling molto più avanzate di quelle attuali, si può giocare sul dare senso diverso a quello dato dal mainstream. Un bell’esempio recente pubblicato su repubblica.it è il lavoro di rivisitazione effettuato su uno spot della Coca Cola del 1971 che mette in evidenza le disastrose conseguenze sulla salute delle persone usando alcune caratteristiche del video di allora. Sono tentativi interessanti ma ancora molto isolati di promuovere un modo adulto di fare comunicazione sociale. E per contraddire Al Capone- De Niro, non saranno tutte chiacchiere e distintivo.

Per approfondire:
Lievrouw L. (2011), Alternative and activist new media, Polity Press, London

Spot Coca Cola 1971 https://www.youtube.com/watch?v=1VM2eLhvsSM

Il video rivisitato dal Center for Science in the Public Interest (http://www.cspinet.org/) https://www.youtube.com/watch?v=hSoT-o4w96o

Al Capone/De Niro https://www.youtube.com/watch?v=5PoB9DADFO0