Nel Paese africano si muore per il morbillo. L’allarme di Medici senza frontiere nel servizio di Fabio Piccolino. (sonoro)
“Molte persone stanno morendo per malattie prevenibili come la malaria, il morbillo e la diarrea”. E’ l’allarme lanciato da Medici Senza Frontiere nella Repubblica Democratica del Congo dove centinaia di migliaia di persone hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria nella provincia di Ituri, nel nord-est del Paese. Sono in corso infatti dei veri e propri sfollamenti di massa tra la popolazione a causa delle violenze a cui si sommano un’epidemia di morbillo e di una di ebola.
L’Organizzazione, che sta supportando il Ministero della salute locale nella fornitura di cure mediche e nella risposta dei bisogni più acuti tra gli sfollati, chiede un’immediata estensione dell’assistenza umanitaria di lungo periodo, per evitare ulteriori morti ed assicurare condizioni di vita dignitose per chi è stato costretto a fuggire
130 al giorno
I minori migranti in Messico sono aumentati del 50% rispetto allo scorso anno secondo le stime dell’Istituto Nazionale per le Migrazioni. Attualmente i bambini e i giovani in fuga da povertà e violenza provenienti da Honduras, Guatemala ed El Salvador sono 15.500, alcuni dei quali rimpatriati dagli Stati Uniti.
Un miliardo di miglia per la salvezza
È il nome della campagna internazionale che Unhcr ha lanciato per creare un movimento globale di solidarietà con chi è costretto a fuggire dalla propria casa. L’obiettivo è quello di correre, camminare, pedalare per coprire in 12 mesi un miliardo di miglia: la distanza che i rifugiati percorrono, ogni anno, per raggiungere un luogo sicuro.
Cattive trame
I grandi marchi mondiali del tessile non hanno fatto nulla per arginare la povertà. E a subire le conseguenze peggiori sono i lavoratori La denuncia di Abiti Puliti. Ai nostri microfoni la portavoce Deborah Lucchetti. (sonoro)
Catastrofe sanitaria
È quella descritta da Medici Senza Frontiere in Libia, nei centri di detenzione di Zintan e Gharyan. Negli ultimi 9 mesi infatti almeno 22 persone sono morte per malattie, probabilmente tubercolosi, dopo essere state stipate in capannoni sovraffollati in condizioni igieniche indecorose. L’organizzazione ha chiesto che le evacuazioni dal paese africano siano immediatamente rafforzate.
Invece di essere fuori pericolo e ricevere la protezione di cui hanno diritto, questi rifugiati e richiedenti asilo sono condannati a un ciclo di violenze e detenzioni. Questo è il tragico e comune calvario, ormai ampiamente documentato, a cui sono esposti migranti e i rifugiati in Libia, ma ciò nonostante gli stati europei continuano a contribuire ai loro respingimenti, pur consapevoli sia una violazione del diritto internazionale.
“Siamo abbandonati qui. Non possiamo tornare indietro e nessuno ci vuole da qualche altra parte. Davvero non so dove sia il mio posto in questo mondo” racconta un rifugiato eritreo di circa vent’anni a Zintan.
Alcuni dei rifugiati nei centri di detenzione di Zintan e Gharyan raccontano di aver subito la pratica dei rapimenti per ottenere soldi dalle loro famiglie per il rilascio. C’è poi chi ha cercato di attraversare il Mediterraneo alla ricerca di un luogo sicuro, ma sono stati respinti dalla Guardia costiera libica, supportata ed equipaggiata dagli stati europei. Una volta a terra, sono stati riportati nei centri di detenzione lungo la costa libica.
Altri ancora, detenuti da reti di trafficanti a Sabratha, sono rimasti intrappolati nei combattimenti tra milizie rivali scoppiati nella città durante l’ottobre 2017 e successivamente trasferiti nei centri di detenzione di Tripoli. In quel periodo, con più di 20.000 detenuti, veniva raggiunto un picco di presenze nei centri di detenzione. Anche durante i combattimenti a Tripoli nell’agosto 2018, i migranti e rifugiati rinchiusi nei centri in città venivano trasferiti in quello di Zintan, lontani dalla linea del fronte ma ancor più isolati, in condizioni disperate e con scarso accesso alle cure mediche.
C’è speranza
La Corte d’appello britannica giudica illegali i trasferimenti di armi all’Arabia Saudita. Il servizio di Fabio Piccolino. (sonoro)
Il governo britannico ha sospeso temporaneamente l’approvazione di nuove autorizzazioni per l’esportazione di armi dal Regno Unito all’Arabia Saudita. La decisione è arrivata dopo che la Corte d’appello ha stabilito che Londra non ha mai indagato sulle violazioni dei diritti umani commessi in Yemen dalla coalizione a guida saudita. Nel corso degli ultimi anni diverse organizzazioni, tra cui Amnesty international, Human Right Watch e Campaign Against Arms Trade si sono battute contro la guerra in Yemen opponendosi alla vendita di armi da parte di molti paesi occidentali, tra cui l’Italia. Seguendo le indicazioni del Parlamento europeo, Olanda, Belgio e Grecia hanno del tutto o in parte sospeso i trasferimenti di armi, mentre Austria, Irlanda, Svezia e Finlandia hanno per ora adottato delle limitazioni.
Ultima chiamata
Se la guerra in Yemen non si ferma per tempo si rischia di avere mezzo milione di morti nel 2022: è l’allarme lanciato dal sottosegretario generale per gli affari umanitari delle Nazioni Unite Mark Lowcock. Il conflitto, che sta diventando sempre più violento, con migliaia di vittime tra i bambini, è considerato da tempo la peggiore crisi umanitaria al mondo.
70 milioni in fuga
Lo ricorda l’Unhcr in occasione della giornata internazionale del rifugiato. Il servizio di Fabio Piccolino. (sonoro)
Sos Ebola
Dopo la Repubblica democratica del Congo, dove ha finora causato 1400 vittime, il virus si sta diffondendo anche in Kenya e Uganda. Per evitare il contagio, il Ruanda ha assunto misure di contenimento degli spostamenti e imposto dure norme igieniche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha tuttavia deciso di non dichiarare l’emergenza internazionale per scongiurare potenziali danni economici.
Non è vita
Ogni due ore muoiono una donna e sei neonati a causa di complicazioni durante la gravidanza o il parto: è l’allarme lanciato da Unicef in Yemen in un report sulla salute materna e infantile nel Paese. Secondo la direzione generale dell’organizzazione, “decenni di sottosviluppo e anni di intensi combattimenti hanno lasciato sull’orlo del collasso totale i servizi pubblici essenziali”.