Secondo l’Istat gli Italiani sono un popolo di disoccupati, con bassa scolarizzazione, giovani cervelli in fuga, con l’economia sgonfia, spesa sanitaria pubblica agli ultimi posti in Europa e la libertà di stampa è al 73° posto. Eppure…
Sono due milioni e mezzo i giovani tra 15 e 29 anni che non studiano e non lavoro, i cosiddetti Neet. Si tratta del 26% degli under 30, più di 1 su 4 secondo i dati 2013. In Ue peggio fa solo la Grecia (28,9%). C’è per caso da essere soddisfatti? Eppure il recente rapporto Istat “Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo”, ci dice che in fondo non siamo così male. L’Italia si conferma una ‘culla’ di longevità, ad esempio. Secondo il rapporto, nel 2013 la vita media delle donne è di 84,6 anni, quella degli uomini di 79,8 anni, tra le più lunghe dell’Unione europea. I fumatori e i consumatori di alcol sono in calo rispetto agli anni precedenti.
Secondo i numeri presentati la spesa sanitaria pubblica italiana nel 2012 era 2481 dollari a persona, poco più di metà di quella olandese, al primo posto nella classifica, ma inferiore a quella di tutti gli altri Paesi tranne Spagna, Portogallo e Grecia. Anche nella spesa privata l’Italia è agli ultimi posti con il 20% di quella totale. Posti letti: 3,4 su ogni mille abitanti, un dato superiore solo a Spagna, Irlanda, Regno Unito e Svezia, mentre al primo posto c’è la Germania che ne mette a disposizione 8,2. A fronte di investimenti inferiori a quelli dei principali ‘competitor’ europei il Paese vanta cifre di mortalità inferiori in diversi ambiti.
In Italia – si riporta nel documento – il 10,3% della popolazione adulta (18 anni e più) è obesa, percentuale che appare la più bassa in Europa. Inoltre, secondo l’Istat i dati di lungo periodo evidenziano un aumento della propensione alla pratica sportiva (dal 26,8% del 1997 al 31,6% del 2014) Come si spiega questo su-e-giù del nostro Paese?
Letture, scolarizzazione, spesa per l’istruzione, diseguaglianze di reddito, lotta all’evasione fiscale: italiani dietro alla lavagna.
Nel 2014, il 41,4% degli italiani ha letto almeno un libro nel tempo libero, con una prevalenza di lettrici (48%) sui lettori (34,5%). Sono sempre di più le persone che utilizzano la rete per la lettura di giornali, news o riviste: dall’11% del 2005 al 31% del 2014. Rispetto a questa forma di utilizzo della rete, l’Italia si posiziona al di sotto della media europea.
In Italia, l’incidenza della spesa in istruzione e formazione sul Pil e’ al 4,2% nel 2012, valore vicino a quelli di Germania e Spagna, ma inferiore a quello dell’Ue28 (5,3%). Anche se il fenomeno dell’abbandono scolastico e’ in progressivo calo, l’Italia rimane ancora lontana dagli obiettivi europei (10%).
Sono circa due milioni e mezzo (26% del totale) i giovani italiani tra 15 e 29 anni che nel 2013 non sono inseriti in un percorso scolastico e/o formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa. In Europa, solo la Grecia presenta un’incidenza maggiore (28,9%).
In Italia, l’incidenza della spesa in istruzione e formazione sul Pil è al 4,2% nel 2012, valore vicino a quelli di Germania e Spagna ma inferiore a quello dell’Ue28 (5,3%).
La spesa sanitaria pubblica italiana risulta inferiore a quella dei principali paesi europei: poco meno di 2.500 dollari pro capite nel 2012 (in parità di potere d’acquisto), a fronte degli oltre 3.000 spesi in Francia e Germania. Nel 2012, le famiglie hanno contribuito con proprie risorse alla spesa sanitaria complessiva per una quota pari al 20,8%, in calo di oltre due punti percentuali rispetto al 2001.
Nel 2013 il Pil pro capite italiano, misurato in parità di potere d’acquisto, risulta inferiore del 2,2% a quello medio dell’Ue28, è più contenuto di quelli di Germania e Francia e appena superiore al prodotto interno lordo spagnolo. L’incidenza degli investimenti è poco meno del 18% e risulta inferiore alla media europea (19,3%); Francia, Germania e Spagna presentano incidenze superiori (rispettivamente 22,1, 19,7 e 18,5%).
Nel 2013 risultano occupate quasi sei persone su dieci in età 20-64 anni, con un forte squilibrio di genere a sfavore delle donne e un marcato divario territoriale tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno. Nella graduatoria europea, solamente Grecia, Croazia e Spagna presentano tassi di occupazione inferiori al nostro Paese. L’Italia ha un alto tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro, al 21,7% nel 2013 (26,1% per le donne). Si tratta di un indicatore particolarmente importante per quei paesi, come l’Italia, dove c’è una quota elevata di persone che non cercano lavorano attivamente e quindi non rientrano nel conteggio della disoccupazione. Nella media Ue28 il tasso si attesta al 14,1%; solo Spagna, Grecia e Croazia presentano valori più elevati di quello italiano. Il tasso di disoccupazione raggiunge il 12,2% nel 2013, 1,5 punti percentuali in più rispetto all’anno precedente.
Nel 2012 circa sei famiglie residenti su dieci (62%) hanno conseguito un reddito netto inferiore all’importo medio annuo di 29.426 euro, pari a circa 2.452 euro al mese. C’è una forte diseguaglianza di concentrazione di reddito, che risulta più alta soltanto in Bulgaria, Lettonia e Lituania e più bassa in Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca e Svezia.
In Italia la spesa per la protezione sociale supera il 30% del Pil nel 2013; il suo ammontare per abitante sfiora gli 8 mila euro l’anno. All’interno della Ue28, l’Italia presenta valori appena superiori alla media, sia in termini pro capite sia di quota sul Pil.
Circa l’80 per cento dei redditi lordi individuali degli italiani non supera i 30mila euro annui. Solo il 2,4 per cento della popolazione ha redditi oltre i 70mila euro. I dati sono coerenti con quelli pubblicati dal ministero dell’Economia e delle Finanze sulle dichiarazioni del 2012, da cui sappiamo anche che il 2,4 per cento dei più ricchi versa il 26,4 per cento dell’imposta netta totale. Questi dati vengono spesso richiamati per ricordare la disuguaglianza (crescente) nel nostro paese e, più di recente, per evidenziare come la maggiore mobilità internazionale (e le maggiori possibilità di elusione ed evasione fiscale?) di coloro che hanno redditi elevati mettano a repentaglio una parte elevata delle entrate fiscali. Quanto più il reddito è concentrato (come in Italia), quanto più cresce il rischio di evasione fiscale.