Secondo gli ultimi dati Istat, il notevole calo delle nascite ha raggiunto livelli minimi dall’Unità d’Italia, “un inverno demografico senza precedenti, in cui il nostro Paese ha l’amaro privilegio di primeggiare”.
Una volta, chi diceva Italia, per associazione di idee, oltre alla cultura, al mare e al sole, alle bellezze naturali e artistiche, ne sottolineava l’immagine reale, e piacevole, di famiglie numerose, con molti figli.
Oggi, con il grido d’allarme lanciato dall’ultimo rapporto dell’Istat, si evidenzia, invece, un notevole calo delle nascite giunto ad un livello minimo dall’Unità d’Italia, tanto da essere tra i Paesi europei con meno natalità. Infatti, sono nati, nel 2014, solo 509 mila bambini, 5000 in meno rispetto al 2013.
Sempre meno figli per gli italiani, quindi, ma non solo: per la prima volta anche fra le mamme straniere che finora hanno tenuto alto il livello demografico del nostro paese, non c’è più voglia di fare figli. Cinquemila neonati in meno nel 2014, rispetto all’anno precedente e circa 4 mila morti in meno. È il quadro demografico tracciato dall’Istat in un rapporto in cui sono stimati gli andamenti nel 2014 e in cui si sottolinea che il tasso di natalità è «insufficiente a garantire il necessario ricambio generazionale». La media di figli per donna resta stabile al 2013 ed è pari ad 1,39 figli, mentre, l’età media al parto sale a 31,5 anni. Calano le nascite anche da madri straniere: la media di figli a madri italiane è di 1,31, mentre per quelle straniere è di 1,97.
La popolazione residente ha raggiunto i 60 milioni 808 mila residenti (compresi 5 milioni 73 mila stranieri) al primo gennaio 2015, mentre i cittadini italiani continuano a scendere – come ormai da dieci anni – e hanno raggiunto i 55,7 milioni (-125 mila rispetto all’anno precedente).
Ma per capire meglio il fenomeno, e approfondirne gli aspetti, tra cui quelli umani, abbiamo incontrato Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari, e direttore del CISF, Centro internazionale Studi Famiglia, che da anni segue le dinamiche relative alle famiglie italiane, e al quale abbiamo chiesto quali possono essere le cause di questa flessione delle nascite e quali i rimedi possibili.
I nostri figli sono il nostro futuro, oggi più che mai.
D: L’ultimo rapporto Istat lancia un grido d’allarme, evidenziando un notevole calo delle nascite, dovuto a diversi fattori, tra cui quello umano, da qui la frase, ormai ricorrente, che “ci vuole davvero coraggio a mettere al mondo un figlio”. E’ proprio così?
R – Questa frase, facile da sentire nelle conversazioni quotidiane nelle nostre famiglie, negli uffici, tra la gente, descrive con grande efficacia la realtà attuale, ed è preziosa proprio per la sua insopprimibile ambivalenza. Se la leggiamo con un certo tono di voce, con queste parole esprimiamo ammirazione, rispetto e persino solidarietà per quei giovani – sempre di meno, in verità – che accettano una vita nuova nel proprio progetto di vita. Ma basta cambiare il tono di voce e le stesse parole possono esprimere un giudizio negativo e quel “coraggio” diventa la sventatezza e l’irresponsabilità di mettere al mondo un nuovo essere umano, che inquinerà, che dovrà vivere in un mondo duro, che non avrà garanzie… e quindi, molto meglio scegliere di non mettere al mondo una nuova vita.
D – E’ un problema, quindi, della società e di tutto ciò che ne fa parte, a far desistere dal mettere al mondo dei figli?
R – La società contemporanea, nel suo complesso, deve scegliere che tipo di coraggio è quello di due giovani che decidono di avere un figlio, nonostante tutto, spesso contro il parere di parenti, amici e conoscenti, magari con lavori precari, magari con un mutuo trentennale per la casa, magari costretti a spostarsi di centinaia di chilometri dal proprio paese: è fiducia nel futuro per sé e per i propri figli oppure è un irresponsabile azzardo, in un mondo in perenne crisi? è voglia di lasciare un segno nel mondo, un’eredità generosa, oppure è una monotona prosecuzione di comportamenti tradizionali, che non si accorgono che il mondo è cambiato, e che “il pianeta scoppia”? E’ restituzione alle nuove generazioni del dono ricevuto dai propri genitori con la vita, oppure è egoistico progetto di autorealizzazione, che metterà a rischio le possibilità di felicità di quel nuovo bambino, nato senza garanzie in un mondo sempre più incerto?
D – Qui ritorna il discorso individuale, personale, e delle responsabilità della politica. A quale rischio si va incontro con il calo delle nascite?
R – Le persone possono scegliere se accogliere la vita o meno, e purtroppo nel nostro Paese sono sempre meno quelle che hanno il coraggio di farlo (questo è il coraggio “vero”…); ma quello che sorprende è che la politica non si sia ancora resa conto dei gravissimi rischi di collasso sociale – reali, in parte già operanti – che il blocco della natalità può portare. Un inverno demografico senza precedenti, in cui il nostro Paese ha l’amaro privilegio di primeggiare, da decenni copre il nostro Paese con un manto di gelo ben più duro della neve recentemente caduta in tutta Italia, che ha paralizzato spesso intere città: ma una società incapace di generare nuovi figli è una società incatenata, senza futuro, senza progetti, in cui la creatività diventa inutile, e in cui, come è sotto gli occhi di tutti, una gerontocrazia sempre più arrogante impedisce ai giovani di costruire i propri progetti, occupando spazi e occasioni di vita, e sterilizzando, di fatto, la fecondità di un intero popolo: fecondità che non riguarda solo i bambini, ma la creatività di chi fa impresa, l’imprenditorialità di chi genera innovazione e lavoro, la generosità di chi agisce gratuitamente per gli altri.
D – Dai dati Istat emerge che anche le donne immigrate fanno meno figli
R – Purtroppo è vero, anche i dati sulle famiglie immigrate nel nostro Paese confermano che questo “non è un paese per bambini”. Anche le donne straniere, infatti, pur con un indice di fecondità più alto delle “native italiane”, hanno molto rapidamente ridotto il numero dei figli da 2,9 nel 2006 a 1,91 nel 2013. Crolla quindi l’illusoria ipotesi che i movimenti migratori potessero compensare, almeno in parte, il gelo demografico del nostro Paese.
D – Come può risvegliarsi da questa ondata di gelo, come la definisce lei, il nostro Paese?
R – Il risveglio del nostro Paese non potrà avvenire se non si scongelerà la generosa fecondità della vita: senza una capacità di accoglienza per le nuove generazioni, saremo sempre più condannati ad una guerra tra le generazioni. Solo una società capace di accogliere le nuove vite sarà capace di costruire sistemi di solidarietà tra le generazioni, di accudire meglio i propri anziani, le persone fragili, chi è emarginato. Perché il futuro di un popolo sono i suoi figli; un popolo senza futuro, invece, non si preoccupa nemmeno dei propri anziani. Il cambiamento demografico del nostro Paese è quindi una urgenza globale del sistema Paese. E’ una sfida per la società tutta, per la politica, per l’economia, ma è anche un richiamo alla responsabilità di ciascuno di noi.
Ringraziamo Francesco Belletti per la sua disponibilità, e, mentre stiamo per pubblicare questo articolo, sentiamo al telegiornale una notizia che ci colpisce, non solo per la bellezza che racchiude in sè, ma per “il coraggio” di cui parlavamo, e che tanti, molti, non trovano: questa mattina, una donna trentenne, tetraplegica da diversi anni, ha dato alla luce una bellissima bambina all’ospedale di Perugia. Tutto questo va controcorrente, rispetto alle statistiche, ma può essere un segnale, forte: è la voglia di vivere, nonostante tutto.
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